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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 7.1904

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Fasc. 1
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24149#0108

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MISCELLANEA

quando riflette le mille luci sulla corazza del guerriero,
e tesse di vermiglio la veste del Cristo, e fa ondeg-
giare le piume dei caschi or bianche, or come tinte
di sangue.

Questo quadro di perfetta conservazione va anno-
verato tra i pochi del maestro. Sono generalmente
ricordati il quadro della galleria di Dresda, rappre-
sentante il miracolo del Cieco (n. 276) ; quello della
galleria di Parma, dello stesso soggetto (n. 201), che
porta la firma dell’autore come il nostro dipinto; 1 1 un
terzo rappresentante il Battesimo di Cristo nella col-
lezione Cook a Richmond, ecc. E possiamo aggiun-
gervi il San Francesco del museo di Lille (n. 764) e
l'Orazione di Cristo nell’orto dì Getsemani, dello stesso
museo (n. 765).

Il secondo quadro qui riprodotto è un’opera evi-
dente del Morales, così poco noto in Italia: una tra
le opere più belle del maestro che fu detto et divino,
appunto per i suoi Cristi vestiti di dolore, sotto l’ala
della morte. In questa tavoletta, il Redentore appare
seduto sopra una base, con un manto verde scolorato
nelle parti in luce, che s’apre e lascia scoperte le carni
livide. Sta pensoso tra i segni del martirio, sul fondo
tetro : fra le spine della corona, i fini capelli si tin-
gono del sangue aggrumato ; dalle folte palpebre spic-
ciano lagrime; le carni livide sono segnate dai colpi
de’ flagelli. China lo sguardo errante sotto le lunghe
ciglia, e mentre poggia la testa alla mano che stringe
la destra tempia, par che un gemito corra sulle strette
labbra morelle. È questa una creazione tra le più pro-
fonde del maestro spagnuolo, che seppe rendere sotto
tanti aspetti il dolore di Cristo e il suo sacrifizio su-
premo. Nè a Roma, nè a Firenze, nè a Pavia, dove
pure nel museo Malaspina è una piccola opera del
maestro, esso ci appare così grande e suggestivo come
in questo dipinto.

Nè così grato ci tornò spesso il Tiepolo, come
nella Madonna col Bambino qui riprodotta. Il fanta-
stico maestro, che attinse così largamente da Paolo,
andò in questo gruppo più lontano nelle sue ricerche,
e prese a prestito da Giambellino il bel volto roseo
pensoso della Vergine, che adombrò con un gran
drappo ingiallito. Le fece più tumide le labbra, le segnò
nere le ciglia, pur conservando l’immagine casta, no-
bile e pensosa del suo modello. Gli occhi della Ma-
donna socchiusi, nuotanti nell’azzurro, e dal lacrimatoio
sanguigno, hanno un’espressione alquanto dolorosa,
mentre porta nelle braccia il Bambino di vera carne,
coi grandi occhi neri cerchiali d’oro e d’azzurro, forte,
fiorente. Il color rosa tinge le carni bianche del fan-
ciullo nelle prominenze e ne’ solchi delle carni, ne
colora vivamente le guance, e fa spiccare i teneri

1 II quadro di Roma porta l’iscrizione : X'n/rr.y.O' /yìc

S7r. ; quello di Parma è firmato: Atori-t’o ; VeotC/.ot.o0/.’y.pr:'
£77oi;.

piedini sulla tunica rosata della Vergine, tunica cer-
chiata dal manto azzurro. Qui rivediamo e nella lenda
di giallo vecchio che si dispiega dietro il gruppo divino
e nelle vesti della Vergine i consueti segni delle pieghe
del Tiepolo, aggirantisi come nelle fibre della inta-
gliata radice d’una pianta. Ma qui Tiepolo ci appare
sotto un nuovo aspetto e in atto di omaggio a Gio-
vanni Bellini, al padre venerando della pittura ve-
neziana.

Adolfo Venturi.

Nuovi documenti sui Caroto. — Le poche notizie
che possediamo sulla vita dei due pittori veronesi Gio-
vanni Francesco e Giovanni Caroto le dobbiamo al
Vasari, che sembra essere stato in relazione con Gio-
vanni e da cui attinsero tutti gli scrittori successivi.
Solo il Vesme nel 1895 determinò esattamente l’epoca
del soggiorno di Giovanni Francesco a Casale e le
opere che egli vi compì. 1

Recentemente però il dott. Giorgio Biermann volle
sostenere nella Kunstchronik2 un’ ipotesi ardita e in
aperto contrasto con la tradizione ; che cioè Giovanni
Francesco non sia il più vecchio dei due fratelli, ma
anzi il più giovane e lo scolaro dell’altro; inoltre che
non si chiamasse punto Giovanni Francesco, ma solo
Francesco, e che le firme, che portano il prenome di
Giovanni, siano dovute a una speculazione da lui ten-
tata-dopo la morte prematura del fratello, per vendere
più facilmente le proprie opere.

E il Biermann crede di convalidare la sua teoria
osservando che di Giovanni conosciamo opere del 1513
e 1514, mentre la prima opera datata di Francesco è
del 1528.

A rovesciare questa supposizione basterebbero le
notizie che già abbiamo, le firme di Giovanni Fran-
cesco del 1501 nel quadro della Galleria di Modena,
e del 1508 nel dipinto della chiesa di San Girolamo
di Verona, nonché i documenti del Vesme; anzi, a
far cader tutto questo castello di carte, sarebbe suffi-
ciente l’attestazione del Vasari che Giovanni morì
nel 1555, dopo il fratello maggiore. Ma l’occasione
mi sembra opportuna per far conoscere alcuni docu-
menti sui due Caroto, che provano come il racconto
del Vasari sia in gran parte esatto. Questi infatti com-
mise un solo errore. Anticipò di circa io anni la na-
scita di Giovanni Francesco, per cui, avendogli at-
tribuito alla morte l’età di 76 anni, che è presso a
poco la vera, indusse gli scrittori posteriori a farlo
morire nel 1546 anziché nel 1555, come realmente
accadde.

Ecco un piccolo schizzo genealogico che riassume

1 Alessandro Vesme, Giovali Francesco Caroto alla Coi te di
Monferrato (Archìvio storico dell'Arte ; 1895, I, pag. 33-42).

2 Dott. Giorgio Biermann, Die heiden Caroto in dei- Veroneser
Molerei. {/uinslkrCiiit. 41 dicembre 1903).
 
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