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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 7.1904

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Fasc. 2
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24149#0207

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MISCELLANEA

i59

Lo stucco della raccolta del duca Massari, prove-
niente da Lucentola, presso Férrara, ha una grande
evidentissima parentela con quelli della anticamera
del palazzo di Schifanoia: la figura della Vergine
sembra anzi una delle donne allegoriche che ne ador-
nano il ricchissimo fregio; e i puttini musicanti ricor-
dano pure gl’ingenui gemetti che in quello suonano a
festa le tube adorne di pennoni.

A. Venturi.

Un manoscritto perduto della biblioteca di To-
rino. — Nello studiare minutamente il piccolo codice
delle Vitcìe diversorum principimi et tyrannorum (E III
19), ora perito con tanti altri tesoli nel terribile in-
cendio della biblioteca universitaria di Torino, ricordo
di aver passato più e più ore come rapito in un in-
canto di dolcezza suprema.

Avevano quelle pergamene, bianche più che la neve
e morbide più che il velluto, una luminosità porten-
tosa, che nessuna miscela di col tre avrebbe potuto
superare. Bene l’aveva compreso il miniatore, che, ab-
bandonate le vecchie usanze di sovrapporre grossi strati
di colore a coprir tutto il campo, aveva disegnato sot-
tilmente a penna fiori, foglie e figure; e poi li aveva
leggermente lumeggiati di colori ; di modo che il bianco
sempre splendesse sotto e rendesse le luci col suo splen-
dore di perla.

Julius Hermann, nella Storia delta miniatura alla
corte degli Estensimale a mio credere ricerca i pre-
cursori della grande scuola dei miniatori ferraresi, che
rifulge nel Breviario di Lionello, nella Bibbia del duca
Borso, nel Breviario di Ercole I della biblioteca ar-
ciducale di Vienna, nei miniatori bolognesi; lasciando
da parte la scuola dei miniatori di Verona.

Mentre a Bologna, immensa officina dei codici delle
leggi, l’arte, alla fine del Trecento, moriva nel me-
stiere; e Niccolò, coll'addensare oro e colori sui cento
e cento suoi codici, e con lo sfumare di una tinta ci-
nericcia uniforme tutte le faccie mostruose, rendeva
antipatica e disgustosa l'arte del miniare, cosi gentile;
a Verona, sul principio del Quattrocento degli artisti
disegnatori, continuando la scuola dell’Altichiero, e
imitando il Pisanello, spandevano a piene mani nella
d colazione di qualche codice principesco i loro ge-
niali studi, ritratti dal vero, con un grande amore per
la natura ; studi tratti dalle piante, dalle bestie, dagli
uomini, nei nuovi vestiti gentili delle corti principesche.
Deriva l’arte loro da quella vivace degli illustratori di
libri volgari, che ai disegni improvvisati davano leg-
giere tinte di colore. Ma i prodotti di questa scuola
non sono ancora noti e quindi essa non è degnamente
apprezzata. Per un tale studio il codice torinese era
di un’ importanza capitale. 1

1 I-I. Julius Hermann, Zur Geschichte der Minìaturmalerei cim
Hofe der Este. Stilkritische Studien, in Jahrbuch des Kunsthist.
Sanimi, des Allerhochsten Kaiserhauses, 1900, pag. 118 e segg.

Intorno ad esso io avevo potuto, cercando qua e
là, raccogliere qualche altro mirabile documento della
stessa arte e speravo con maggiori ricerche di potere
bene determinare l’artista insigne che aveva creata
quella meraviglia. Ma ora, mancando anche le foto-
grafie e non restando che i ricordi, io non posso fare
di meglio che fissare qui i miei, quasi a commemorare
la gravissima perdita.

Nella prima pagina in basso, sostenuto da due putti,
rosea sfumatura della pergamena, lo stemma dei Gon-
zaga con le quattro aquilette imperiali nel grande
scudo, e in mezzo il leone bianco rampante in campo
rosso inquartato con le sbarre nere ed oro, attestava
l’origine principesca del codice. Al lati, dentro il gi-
rare dell’ornato a filigrana, stavano due paggi nelle
variopinte vesti quattrocentesche. Tutto intorno alla
pagina correva una sottile cornice d’oro che aveva
dei ciuffi di foglie d’acanto ben girate agli angoli, e
lungo i lati, in bei nodi, filamenti vegetali con grosse
bolle d’oro cigliate di nero e grandi fiori e foglie. Cin-
que medaglioni si aprivano sulla cornice con dentro
disegnati e coloriti finamente dei guerrieri. In alto a
sinistra uno a piedi coperto d’armatura d’argento te-
neva la spada puntata a terra ; un altro a destra to-
glieva la grande lancia dalle mani del valletto e par-
tiva in corso sul grosso destriero che volgeva la groppa
lanciandosi a corsa, come i cavalli del Pisanello a Santa
Anastasia. San Giofgio sul bianco destriero feriva il
drago in un piccolo medaglione a metà del margine
esterno e dietro la principessa col grande balzo in
capo, leggera e sottile, faceva atto di spavento mentre
in lontananza, dai loro palagi, guardavano il re e la
regina. Nel piccolo medaglione la scena vivace e bella
era disposta con grande accorgimento. Il cavallo bianco
e il vestito di fine seta della principessa erano resi a
meraviglia dalla nuda pergamena con poche ombre e
ornamenti d'oro. In basso due guerrieri a cavallo si
correvano incontro: quello a destra tutto chiuso nel-
l’armi nere usciva dalla boscaglia fatta di bel verde
con lumi d’oro, tenendo un pennone rosso con un
levriero corrente, mentre quello nel medaglione di si-
nistra, dall'armatura d’argento, aveva sullo stendardo
un gatto bianco.

I cavalli grossi erano studiati in forti scorci, in moto,
e il pelame reso sottilmente pelo per pelo. Bellissimo,
per osservazione naturale, un orsacchiotto si stendeva
sopra una foglia ; una cervetta, insidiata in alto dal-
l’arciere, sedeva accovacciata tranquilla in un pianoro
verde, e dei conigli mangiavano quieti : pareva che
l’artista avesse voluto dar qui un saggio dei suoi studi
di animali di bel pelo. Nel campo della pagina, dopo
il titolo generale dell’opera, cominciando la vita di
Adriano, stava il medaglione con la testa dell’impe-
ratore, sorretta da due deliziose fanciulle bionde in
costume quattrocentesco, dagli occhi vivi, dalle guance
rosate. La testa dell’imperatore era stata evidente-
 
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