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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 7.1904

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Fasc. 3
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Brunelli, Enrico: Antonello de Saliba
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https://doi.org/10.11588/diglit.24149#0330

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ANTONELLO DE SALILA

279

San Girolamo. L’esecuzione è accurata, e nei particolari ricca e fine. Uno dei re magi, che
porta il toson d’oro, è la ripetizione esatta della figura regale che abbiamo visto, a destra
di San Tommaso; il San Benedetto ha notevole riscontro con quello dipinto da Antonello
seniore, per la sua ancona già rammentata della Pinacoteca di Messina.

In questi due quadri di Palermo due influenze sono palesi; quella di Antonello da Messina
e quella fiamminga. Certamente essi sono dovuti a un seguace d’Antonello; ciò che proba-
bilmente suggerì la primitiva ipotesi che egli stesso ne fosse l’autore : ipotesi avvalorata dal
fatto del suo soggiorno a Palermo, soggiorno avvenuto in epoca non troppo lontana da
quella, cui possono verisimilmente attribuirsi i quadri. Ed è anche certo che fra i seguaci
d’Antonello seniore, e fra gli artisti messinesi del tempo, Antonello de Sabba è il più chia-
ramente indicato come possibile autore. Oltre alle forme caratteristiche dei putti, richiamano
la sua maniera la tecnica del colore, e in particolare il trattamento delle carni monotone e
tendenti allo scuro, con ombre senza trasparenza ; il modo di piegare i panni, e il disegno delle
mani, con dita dure, lisce, sottili, troppo lunghe. Non è quindi senza fondamento l’ipotesi
che, come lo : zio, il nipote abbia soggiornato e operato a Palermo, sebbene non resti ricordo
del suo soggiorno quivi. Probabilmente le due personalità furono confuse; e quella del mag-
giore artista assorbì e fece dimenticare quella del minore.1

Quando si ammetta Antonello de Sabba come autore dei due quadri esaminati, ne
deriva come conseguenza che essi appartengono a un’epoca anteriore di alcuni anni a quella
della Madonna di Catania (1497). Epoca che tenuto conto del rapporto evidente fra la
Disputa di San Tommaso e il quadro sovra ricordato della Madonna della Pace, potrebbe
fissarsi intorno al 1490.

Uscendo ora dalla Sicilia, dobbiamo fermare la nostra attenzione sovra un gruppo di
opere, sparse in diverse collezioni europee, che portano tutte la firma di Antonello da Mes-
sina, firma creduta sinora esclusiva del maggiore Antonello. Onde si è avvertito, e con ragione,
un contrasto evidente fra la segnatura e l’esecuzione in quadri, come la Madonna della galleria
di Berlino (n. 13), il San Sebastiano della stessa collezione (n. 8), la Madonna in trono della
Pinacoteca comunale di Spoleto, la Vergine che legge dell’Accademia di Venezia (n. 590),
la Pietà dell’Accademia di Vienna. Escluso che tali dipinti siano veramente opera di Anto-
nello seniore, di cui pur richiamano la maniera, si presentano le ipotesi che si tratti di
meditate falsificazioni, o, quanto meno, di usurpazioni della firma del maestro per parte di
aiuti o di allievi. E qui ricorre subito alla mente il nome di quel Pietro da Messina, noto
come collaboratore ed aiuto del suo grande concittadino.

Pietro si dimostra un artista assai mediocre nelle sue opere firmate, che si riducono,
per ora almeno, a tre: il Cristo alla colonna della Galleria di Buda-Pesth, e le Madonne della
collezione Arconati ad Abbiategrasso, e dell’oratorio di Santa Maria Formosa a Venezia.
Il primo è una derivazione, fiacca e rozza, del Cristo di Antonello, di cui abbiamo esemplari
a Venezia e a Piacenza; le Madonne sono povere traduzioni di forme e di tipi cimeschi.
Può considerarsi come autentica anche una Madonna del Museo civico di Padova (sala I,
n. 25), che non è che una replica di quella di Santa Maria Formosa.2 In complesso Pietro
ci appare un artista, molto affine ad Antonello de Sabba, ma di livello ancora più basso;
il Morelli gli ha fatto troppo onore, con l’assegnargli opere come la Madonna della chiesa
degli Scalzi a Venezia, o quella (n. 584V2Ù) della Galleria degli Uffizi. L’una, tanto diretta-

1 Fra le opere che furono e sono attribuite ad Anto-

nello seniore in Palermo, unica che possa in qualche
modo riferirsi a lui è la Vergine che legge, posseduta
da mons. Vincenzo Di Giovanni; nella quale pare a
me che debba vedersi non (come afferma il Di Marzo)
la copia ma l’originale (o almeno un esemplare supe-
riore) di quella dell’Accademia di Venezia. Ricorderò

anche, nella Pinacoteca di Palermo, tre cimase di po-
littico (numeri 47, 50, 51); provenienti palesemente
dalla bottega di Antonello.

2 Nel quadro di Padova possiamo, meglio che negli
altri, studiare il paesaggio di Pietro; avendo ivi il mae-
stro soppressa la tenda che ricorre nei fondi delle sue
Madonne di Venezia e di Abbiategrasso.
 
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