MISCELLANEA
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i beni della famiglia Serafini.1 Ciò corrispondeva del
resto a un’usanza attestata per quei tempi dalle regole
dell’arte notarla.
Un documento del 7 settembre 1361 ci fa sapere
che Serafino era a Ferrara. 2 Non è detto per quali ra-
gioni egli abbia preso la determinazione di allontanarsi
da Modena; ma poiché noi sappiamo da Marc’Antonio
Guarino che a Ferrara nel 1373 Serafino diè mano a
istoriare una cappella della chiesa di San Domenico,
possiam pensare che egli abbia abbandonato sin d’al-
lora la sua città natale per esercitare altrove la sua
arte sia dietro invito, sia di sua preferenza. E qui non
dobbiamo tralasciare di porre a riscontro di Serafino
i due pittori modenesi Tommaso Barisini e Barnaba
da Modena: anch’essi intorno allo stesso tempo eransi
assentati da Modena sospinti dal desiderio di migliore
fortuna; anch’essi, addestratisi all’arte della pittura
nella loro città, avevano gettati gli sguardi al di fuori
della sua cerchia e l’uno a Treviso e altrove e l’altro
a Genova si facevano conoscere e apprezzare come
meritavano. Appunto allora Niccolò da Reggio, altro
pittor modenese, pingeva a Parma uno degli splendidi
nicchioni del Battistero.
Il 16 agosto 1361 Serafino dei Serafini, che abitava,
come dice il documento «ad presens Ferrarle» ven-
deva a certo Antonio Barbieri la sua parte di terra
posta nella borgata di Albareto.3 L’anno dopo, il
17 agosto, esitava anche una casa, ch’egli possedeva
in Modena nella cinquantina di Sant’Agata.4 Pare
adunque accettabile la supposizione, che qui si affac-
cia, che Serafino avesse ormai stabilito di prender do-
micilio fisso a Ferrara; e infatti per molti anni non
ritroviamo nessun atto che lo riguardi in qualche
modo. Vero è che non mancano documenti concer-
nenti il fratello Bartolomeo, che aveva sposato certa
Erminia Bergonzini e aveva fatto testamento il 6 giu-
gno 1374,5 o anche l’altro suo fratello Marco; ma è
certo che sino al 1385 non abbiamo più notizia di lui.
In tale anno egli compì un quadro, che è conservato
nel duomo di Modena e che tutto fa credere dipinto
a Modena. È possibile adunque che Serafino, acqui-
statosi di già un certo nome, abbia desiderato pas-
sare gli èstremi anni della sua vita nel suo paese, tra
i suoi, e siasi di nuovo recato a Modena.
I due ultimi documenti, ne’ quali lo troviamo ri-
cordato, sono del 12 marzo 1387.6 In essi egli è chia-
mato « pittore » e « maestro », come allora usavasi, e
da essi s’impara che Serafino acquista, per rinuncia di
eredità da parte di Geminiano, una pezza di terra di
quattro biolche posta in burgo Albareti.
1 « ... ipsi domine Bartholomee vulgariter exposit », dice il do-
cumento.
2 Append., n. XXII.
3 Id., n. XXI.
4 Id., n. XXIII.
5 Meni., 1374, II, 156.
6 Append., np. XXIV e XXV,
-X*
-x- -x-
Una sola opera ci rimane ad attestare il grado di
eccellenza raggiunto nell’arte della pittura da Serafino
Serafini. Si tratta di un’ ancona lavorata a modo di
dittico esistente nel duomo di Modena. 1 La tavola fu
dipinta, come indica una sottostante iscrizione, nel 1385
ed è suddivisa in cinque parti principali: nella mag-
giore, quella centrale, è ritratto Gesù nell’atto d’in-
coronare la Vergine. Il Redentore, seduto con Maria
sopra il sedile, un trono che ha tre sponde di marmo
bianco ed è in parte ombreggiato da un drappo verde
rabescato d’oro, reca nella mano sinistra uno scettro
con un fiordaliso in alto e con la destra pone un'disco
d’oro sul capo di Maria, la quale piena di compun-
zione sta presso al figlio con le mani giunte e con il
capo chino. Intorno è effigiato un nimbo d’angioli,
che cantando magnificano in coro l’incoronazione.
«La tonaca, così di Gesù, come della Vergine, è di
colore pallido e gentile che ha un po’ di rosa. Gesù
indossa un manto di bellissimo scarlatto con ricamo
d’oro nell’orlo, mentre il riianto di Maria è di color
verde bruno, ma tutto quanto rabescato d’oro. Nella
fascia turchina scura ond’ è cinto il Redentore sono
scritte a lettere d’oro queste parole del capo primo
dell’Apocalissi: Ego suiti alpha et omega ».2
Continuiamo a riprodurre sostanzialmente la descri-
zione, che n’ha data D. Cavedoni: «Alle estremità
del grado del trono, ma in sul pavimento, stanno
genuflesse a mani giunte due molto divote persone:
uomo e donna... Dalle fattezze de’ loro volti appare
bastantemente che queste due teste non sono ideali, ma
son due ritratti. Forse questi due buoni cristiani furono
i benefattori che fecero fare e donarono al duomo la
nostra ancona».
Qui occorre sospendere per un momento la nostra
descrizione per domandarci se sia o no possibile rin-
tracciare ne’documenti dell’Archivio capitolare di Mo-
dena il nome di questi due presunti donatori. Da chi
meglio poteva, dal Rev. conservatore di quel prezio-
sissimo deposito, il sac. D. A. Dondi, è stata tentata
alcuni anni or sono, la ricerca, che c’interessa; ma le
sue indagini non sono state coronate da un risultato
soddisfacente. Ciò nulla di meno il rev. monsignore ha
espresso sull’argomento alcune congetture, che repu-
tiamo nostro dovere prendere coscienziosamente in
esame. Il nostro autore a pag. 223 della sua mono-
grafia sul Duomo di Modena, scrive che a congetturare
chi fossero i coniugi che fecero eseguire l’ancona in
questione «dà qualche indizio un testamento in data
1362, col quale Bartolomeo della Molza — filius qd.
Petri Antonii speciarius, civis mutinensis, cinquantine
1 Oltre l’opuscolo citato di P. Cavedoni, si consulti: A. Dondi,
Memorie intorno alla principale ancona ed al tabernacolo della basi-
lica metropolitana di Modena, Modena, 1893, pag. 13.
2 P. Cavedoni, Dell’ancona di Serafino de’ Serafini, cit., pag. 9.
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i beni della famiglia Serafini.1 Ciò corrispondeva del
resto a un’usanza attestata per quei tempi dalle regole
dell’arte notarla.
Un documento del 7 settembre 1361 ci fa sapere
che Serafino era a Ferrara. 2 Non è detto per quali ra-
gioni egli abbia preso la determinazione di allontanarsi
da Modena; ma poiché noi sappiamo da Marc’Antonio
Guarino che a Ferrara nel 1373 Serafino diè mano a
istoriare una cappella della chiesa di San Domenico,
possiam pensare che egli abbia abbandonato sin d’al-
lora la sua città natale per esercitare altrove la sua
arte sia dietro invito, sia di sua preferenza. E qui non
dobbiamo tralasciare di porre a riscontro di Serafino
i due pittori modenesi Tommaso Barisini e Barnaba
da Modena: anch’essi intorno allo stesso tempo eransi
assentati da Modena sospinti dal desiderio di migliore
fortuna; anch’essi, addestratisi all’arte della pittura
nella loro città, avevano gettati gli sguardi al di fuori
della sua cerchia e l’uno a Treviso e altrove e l’altro
a Genova si facevano conoscere e apprezzare come
meritavano. Appunto allora Niccolò da Reggio, altro
pittor modenese, pingeva a Parma uno degli splendidi
nicchioni del Battistero.
Il 16 agosto 1361 Serafino dei Serafini, che abitava,
come dice il documento «ad presens Ferrarle» ven-
deva a certo Antonio Barbieri la sua parte di terra
posta nella borgata di Albareto.3 L’anno dopo, il
17 agosto, esitava anche una casa, ch’egli possedeva
in Modena nella cinquantina di Sant’Agata.4 Pare
adunque accettabile la supposizione, che qui si affac-
cia, che Serafino avesse ormai stabilito di prender do-
micilio fisso a Ferrara; e infatti per molti anni non
ritroviamo nessun atto che lo riguardi in qualche
modo. Vero è che non mancano documenti concer-
nenti il fratello Bartolomeo, che aveva sposato certa
Erminia Bergonzini e aveva fatto testamento il 6 giu-
gno 1374,5 o anche l’altro suo fratello Marco; ma è
certo che sino al 1385 non abbiamo più notizia di lui.
In tale anno egli compì un quadro, che è conservato
nel duomo di Modena e che tutto fa credere dipinto
a Modena. È possibile adunque che Serafino, acqui-
statosi di già un certo nome, abbia desiderato pas-
sare gli èstremi anni della sua vita nel suo paese, tra
i suoi, e siasi di nuovo recato a Modena.
I due ultimi documenti, ne’ quali lo troviamo ri-
cordato, sono del 12 marzo 1387.6 In essi egli è chia-
mato « pittore » e « maestro », come allora usavasi, e
da essi s’impara che Serafino acquista, per rinuncia di
eredità da parte di Geminiano, una pezza di terra di
quattro biolche posta in burgo Albareti.
1 « ... ipsi domine Bartholomee vulgariter exposit », dice il do-
cumento.
2 Append., n. XXII.
3 Id., n. XXI.
4 Id., n. XXIII.
5 Meni., 1374, II, 156.
6 Append., np. XXIV e XXV,
-X*
-x- -x-
Una sola opera ci rimane ad attestare il grado di
eccellenza raggiunto nell’arte della pittura da Serafino
Serafini. Si tratta di un’ ancona lavorata a modo di
dittico esistente nel duomo di Modena. 1 La tavola fu
dipinta, come indica una sottostante iscrizione, nel 1385
ed è suddivisa in cinque parti principali: nella mag-
giore, quella centrale, è ritratto Gesù nell’atto d’in-
coronare la Vergine. Il Redentore, seduto con Maria
sopra il sedile, un trono che ha tre sponde di marmo
bianco ed è in parte ombreggiato da un drappo verde
rabescato d’oro, reca nella mano sinistra uno scettro
con un fiordaliso in alto e con la destra pone un'disco
d’oro sul capo di Maria, la quale piena di compun-
zione sta presso al figlio con le mani giunte e con il
capo chino. Intorno è effigiato un nimbo d’angioli,
che cantando magnificano in coro l’incoronazione.
«La tonaca, così di Gesù, come della Vergine, è di
colore pallido e gentile che ha un po’ di rosa. Gesù
indossa un manto di bellissimo scarlatto con ricamo
d’oro nell’orlo, mentre il riianto di Maria è di color
verde bruno, ma tutto quanto rabescato d’oro. Nella
fascia turchina scura ond’ è cinto il Redentore sono
scritte a lettere d’oro queste parole del capo primo
dell’Apocalissi: Ego suiti alpha et omega ».2
Continuiamo a riprodurre sostanzialmente la descri-
zione, che n’ha data D. Cavedoni: «Alle estremità
del grado del trono, ma in sul pavimento, stanno
genuflesse a mani giunte due molto divote persone:
uomo e donna... Dalle fattezze de’ loro volti appare
bastantemente che queste due teste non sono ideali, ma
son due ritratti. Forse questi due buoni cristiani furono
i benefattori che fecero fare e donarono al duomo la
nostra ancona».
Qui occorre sospendere per un momento la nostra
descrizione per domandarci se sia o no possibile rin-
tracciare ne’documenti dell’Archivio capitolare di Mo-
dena il nome di questi due presunti donatori. Da chi
meglio poteva, dal Rev. conservatore di quel prezio-
sissimo deposito, il sac. D. A. Dondi, è stata tentata
alcuni anni or sono, la ricerca, che c’interessa; ma le
sue indagini non sono state coronate da un risultato
soddisfacente. Ciò nulla di meno il rev. monsignore ha
espresso sull’argomento alcune congetture, che repu-
tiamo nostro dovere prendere coscienziosamente in
esame. Il nostro autore a pag. 223 della sua mono-
grafia sul Duomo di Modena, scrive che a congetturare
chi fossero i coniugi che fecero eseguire l’ancona in
questione «dà qualche indizio un testamento in data
1362, col quale Bartolomeo della Molza — filius qd.
Petri Antonii speciarius, civis mutinensis, cinquantine
1 Oltre l’opuscolo citato di P. Cavedoni, si consulti: A. Dondi,
Memorie intorno alla principale ancona ed al tabernacolo della basi-
lica metropolitana di Modena, Modena, 1893, pag. 13.
2 P. Cavedoni, Dell’ancona di Serafino de’ Serafini, cit., pag. 9.