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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 7.1904

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Fasc. 5
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Ciaccio, Lisetta: Gian Martino Spanzotti da Casale, pittore, fiorito fra il 1481 ed il 1524
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https://doi.org/10.11588/diglit.24149#0509

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454

LISETTA CI ACCIO

a cavallo, uno dei quali con la mazza ferrata alzata, ai piedi del ladrone di destra, ed il solito
aguzzino gozzuto con la spugna. Maggiore affinità si ha invece nella composizione della
Deposizione, ove nell’uno e nell’altro affresco Gesù morto giace irrigidito sulle ginocchia della
Madre seduta, circondata dalle donne pietose, mentre Giovanni d’Arimatea e Nicodemo si
tengono ritti più indietro, ragionando fra loro. E non è ancora tutto, ma si hanno affinità
in generale ed in qualche tipo di figura, rassomigliando un po’ i vecchioni di Gaudenzio,
dall’abbondante barba spartita, a quelli dello Spanzotti ; e nei modelli di architettura, riveden-
dosi anche in Gaudenzio la solita finestrella rotonda di Gian Martino e di Defendente; e
perfino nelle parti metalliche degli affreschi in rilievo (armature, elmi, bardature di cavalli,
contorni delle aureole) che come si vedono a Varallo, così esistevano anche ad Ivrea, benché
oggi caduti.

Infine le somiglianze fra i due cicli di affreschi sono tante e tali da non permetterci di
crederle casuali, nemmeno supponendo una fonte comune d’ispirazione. E necessario quindi
ammettere che uno dei due artisti abbia veduto l’opera dell’altro e l’abbia imitata. Quale?
L’essere l’autore degli affreschi di Varallo assai maggiore artista che non quello di Ivrea
darebbe luogo a supporre che egli debba essere stato il modello, l’altro l’imitatore. Vediamo
se ciò è possibile.

Gli affreschi di Ivrea purtroppo sono senza data (almeno a me non è riuscito rintrac-
ciarvela), ma forse non ci mancano gli elementi per stabilire se poterono essere eseguiti prima
o dopo il 1513, anno in cui Gaudenzio terminò i suoi lavori in Santa Maria delle Grazie.
Sappiamo infatti dello Spanzotti che nel 1481 faceva da testimonio in atto pubblico, quale
cittadino ed abitante di Vercelli, il che ci assicura che doveva avere almeno compiuto i
25 anni, 1 senza escludere che ne potesse avere parecchi di più; ma stiamo pure per il meno.
Orbene, se lo Spanzotti nel 1481 contava 25 anni, nel 1513 doveva averne almeno 57. E sarebbe
oltre i 57 anni che egli avrebbe dovuto eseguire gli affreschi di Ivrea, imitando, lui già vecchio
e caposcuola, un giovane astro alla moda; e senza poi cadere mai nel servile nè nell’esage-
razione del suo modello, ma sapendosi mantenere sempre in una sobrietà dignitosa, e costi-
tuendo a maggior pregio dell’opera sua, ciò che è ben difficile in un imitatore e cioè la forza
espressiva ed una singolare freschezza di concezione delle diverse scene ; giacché ciò è da
notare che, sé infinite sono le affinità formali fra i due cicli, le scene più vibranti di vitalità
tragica vi sono trattate in modo deh tutto diverso, con perfetta originalità di séntimento.

Ora è ciò ammissibile? Se pure si volesse supporre che il vecchio Spanzotti fosse costretto
dai suoi( ordinatori ad ispirarsi al capolavoro di Varallo, noi non potremmo attenderci da
lui che un’opera vuota, senza carattere, imitante Gaudenzio in ciò che più ne costituisce, per
dir così, la specialità formale, come gli angioli piangenti e svolazzanti, le foggie delle vesti
cinquecentesche, l’insieme delle scene meglio riuscite, i tipi di volti, ecc. : precisamente il
contrario di quanto in realtà sono gli affreschi di Ivrea.

Per contrario nulla logicamente ripugna ad ammettere che il giovane Gaudenzio subisse,
fors’anche senza volerlo, l’influenza di un artista tanto più vecchio di lui e rinomato, pur
riuscendo, nella pienezza della sua forza giovanile e geniale, a creare un’opera vigorosa di
spontaneità e bellezza, rivestendo il povero e nudo schema del suo modello, delle forme
ricche e nuove che fiorivano nella sua originale fantasia.

Del resto anche gli affreschi stessi di Ivrea, interrogati in sè stessi nelle loro partico-
larità iconografiche, ci confermano nell’opinione che essi debbono essere anteriori a quelli
di Varallo: per quanto si voglia ammettere che nei paesi dove lavorava lo Spanzotti la moda
del vestiario potesse essere un poco arretrata, le non molte figure in costume del tempo, che
si vedono negli affreschi dello Spanzotti (fig. 6, io, 13) hanno un fare troppo quattrocentesco
nella semplicità dei loro abiti senza sbuffi, e nell’acconciatura del capo delle donne con i
capelli un poco rasati per far la fronte alta ; perchè noi le possiamo credere dipinte dopo il 1513.

A. Vesme, op. cit., pag. 421.
 
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