CRITERI PAESISTICI DEL TINTORETTO
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Come, quando l'attenzione dell'artista si con-
centra sull'elemento « forma » il colore non scom-
pare, ma è il colore di quella forma, il colore che
ad essa pronamente aderisce; come, d'altra parte,
se l'attenzione dell'artista si dirige al « colore », la
forma non cessa di esistere, ma sfugge ad ogni con-
torno rigido e del tutto s'adatta al colore, così, per
il principio di sottomissione degli elementi all'ele-
forza alle figure, profondendo le ombre, l'altro al
rilievo a.1 Ma, distratto da criteri classicisti, il
commosso biografo dei veneti non penetra meno-
mamente il pensiero robustiano: non da amor di
rilievo nasce l'esaltazione, che sarebbe incompren-
sibile su labbra veneziane, ma da puro senso di
luce, ossia da cosciente superamento del colore
stesso. L'indifferenza per tal elemento, derivante
Fig. 7 — Venezia, Scuola'di S. Rocco - Tintoretto : La Fuga in Egitto — (Fot. Anderson).
mento principe, onde nasce il ritmo d'arte di qual-
siasi capolavoro, in una visione prevalentemente
luministica il colore o sparisce, o s'attenua, si mo
difica, si svaluta volatizzando: perde il suo carat-
tere specifico, per acquistarne uno nuovo, che non
trova in sè, ma trae dalla legge rigorosa dell'ele-
mento regolatore, cui subordina sè e i suoi valori,
per dargli varietà e bellezza. Quanto più lo svariar
di luce e ombra è intenso, quindi quanto più le su-
perfici si restringono ondulando e le forme si
sfanno e le linee si rompono, tanto meno l'effetto
cromatico si fa sentire, fino a giungere a un resul-
tato estremo di monocromia. Si legge nel Ridolfi,
che un giorno, ■< dimandato quali fossero i più bei
colori », il Tintoretto rispondesse: « il bianco e il
nero »; spiega lo scrittore: « perchè l'uno dava
dal desiderio di predominio luministico, è proprio
ciò che in certo modo stacca il Tintoretto da ogni
cinquecentista, Tiziano compreso, il quale si
serbò colorista, anche quando alla luce subordinò
la sua visione: è ciò, d'altra parte, che avvicina il
Tintoretto al Seicento caravaggesco, che, in ogni
tema ricercando contrasti, più che passaggi, di
luce ed ombra, il colore sistematicamente superò.
E quando l'inglese Reynolds, l'antitintorettesco
Reynolds, trattando dei Veneziani cinquecentisti,
che non fossero il Vecellio e il Veronese, e q .indi
pensando al Robusti, scriveva: « ...essi hanno in
certo modo la maniera del Ecmbrandt... » non
1 Le meraviglie dell'arte, t. II, p. 59.
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Come, quando l'attenzione dell'artista si con-
centra sull'elemento « forma » il colore non scom-
pare, ma è il colore di quella forma, il colore che
ad essa pronamente aderisce; come, d'altra parte,
se l'attenzione dell'artista si dirige al « colore », la
forma non cessa di esistere, ma sfugge ad ogni con-
torno rigido e del tutto s'adatta al colore, così, per
il principio di sottomissione degli elementi all'ele-
forza alle figure, profondendo le ombre, l'altro al
rilievo a.1 Ma, distratto da criteri classicisti, il
commosso biografo dei veneti non penetra meno-
mamente il pensiero robustiano: non da amor di
rilievo nasce l'esaltazione, che sarebbe incompren-
sibile su labbra veneziane, ma da puro senso di
luce, ossia da cosciente superamento del colore
stesso. L'indifferenza per tal elemento, derivante
Fig. 7 — Venezia, Scuola'di S. Rocco - Tintoretto : La Fuga in Egitto — (Fot. Anderson).
mento principe, onde nasce il ritmo d'arte di qual-
siasi capolavoro, in una visione prevalentemente
luministica il colore o sparisce, o s'attenua, si mo
difica, si svaluta volatizzando: perde il suo carat-
tere specifico, per acquistarne uno nuovo, che non
trova in sè, ma trae dalla legge rigorosa dell'ele-
mento regolatore, cui subordina sè e i suoi valori,
per dargli varietà e bellezza. Quanto più lo svariar
di luce e ombra è intenso, quindi quanto più le su-
perfici si restringono ondulando e le forme si
sfanno e le linee si rompono, tanto meno l'effetto
cromatico si fa sentire, fino a giungere a un resul-
tato estremo di monocromia. Si legge nel Ridolfi,
che un giorno, ■< dimandato quali fossero i più bei
colori », il Tintoretto rispondesse: « il bianco e il
nero »; spiega lo scrittore: « perchè l'uno dava
dal desiderio di predominio luministico, è proprio
ciò che in certo modo stacca il Tintoretto da ogni
cinquecentista, Tiziano compreso, il quale si
serbò colorista, anche quando alla luce subordinò
la sua visione: è ciò, d'altra parte, che avvicina il
Tintoretto al Seicento caravaggesco, che, in ogni
tema ricercando contrasti, più che passaggi, di
luce ed ombra, il colore sistematicamente superò.
E quando l'inglese Reynolds, l'antitintorettesco
Reynolds, trattando dei Veneziani cinquecentisti,
che non fossero il Vecellio e il Veronese, e q .indi
pensando al Robusti, scriveva: « ...essi hanno in
certo modo la maniera del Ecmbrandt... » non
1 Le meraviglie dell'arte, t. II, p. 59.