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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 27.1924

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Fasc. 4
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Ortolani, Sergio: Coltura ed arte, [4]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17344#0300

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274

SERGIO ORTOLANI

cioè che, sebbene tramandati e ripetuti, in essi risonava pur sempre il timbro genuino.
La Vergine, il Bambino, la culla, il rudero, il monte, i Re Magi,... erano così divenuti via via
i simboli stessi della realtà dei toscani, i leitmotiv del loro sentimento: in questo la forza
delle loro sacre rappresentazioni. Nelle profane poi ritorna sempre quella favolosa lonta-
nanza del mondo mitologico classico — idee di grazia, di venustà, di virgineità, di ricchezza,
di candore —, che rendevano anch'esse, se men commosso pili chiaro, quel sentimento
di perspicuità sottile e di misurato riposo delle forme nel mondo, in cui si specchiava l'anima
del quattrocento. Vero è però che, col tardo secolo, quella genuinità di motivi che rendeva
naturai compimento dell'affresco di Giotto e di Masaccio la pietà e lo spavento generica-
mente sentiti dagli ammiratori per la sorte del Cristo o d'Adamo, poiché essi ve li rivi-
vevano in concreto, venne cedendo alla tabe dell'estetismo umanistico ch'è il vero tarlo
della civiltà toscana. E allora, come sempre nelle più povere espressioni del trecento
(Giudizii Universali, Inferni, ecc.), l'allegorismo ritornò a dominare, se pure discreto e al-
lusivo appena di grandi sogni e ombre del passato. Su questo piano direi che stia l'arte
delle Stanze di Raffaello, al quale le figure ch'egli disegnava apparivano mosse dal com-
pito di mostrarsi sovratutto belle, e poi — siccome una vera necessità di motivi falliva
ormai alla sua spassionata grazia contemplativa — cercavano di atteggiarsi in una atmo-
sfera ora senza tempo, dove tutte tornassero all'estatico, fra Parnaso e Paradiso, ora
scossa da una leggera vibrazione omogenea che quasi rendesse la lontanissima eco di
quegli immensi fragori di trionfi e di grandezze e di glorie.

Con Giorgione, in cui la vibrazione musicale del colore si sostituisce alla incisività
evocativa del disegno di profilo, il quale crea sempre una intenzione, una allusione o
un carattere — tanto si è connaturato con il gusto toscano uso a illustrare di ritratti
le istorie dipinte — è certo che il soggetto subì una profonda mutazione. Esso non
venne più a rappresentar nulla fuorché l'astratta cifra di quell'accordo e di quel ritmo:
non fu più altro che il simbolo della stessa visione pittorica; qualcosa che non parlava
d'altro che di quella pittura, che non poteva far pensare a cosa diversa. La Storia, il
ritratto, tutto ciò divenne esterno; la Madonna e la Venere, la cortegiana e l'angiolo
significarono una cosa sola: il soggetto dell'arte moderna era creato.

Esso fu il simbolo che i mezzi espressivi compongono dello stato d'animo del-
l'artista, dato che esprimere vale soltanto tradurre in simboli: fu cioè il simbolo finale
e maggiore che l'opera propone: quel tono del sentimento, quell'indefinibile la dello spi-
rito, che non si può tradurre in altro linguaggio, tanto è schiettamente e solamente
pittorico, cioè il resultato d'una commozione che parla coi colori e che solo quelli possono
ridestare in noi. Poesia, dissero gli umanisti, quasi fosse arbitrio, divagazione, fanfaluca.
Poesia ripetiamo perchè tutto v'è ridotto al solo ritmo e questo si propone e canta libero
in noi come mai altrove. Ciò avvenne naturalmente. Trasferiti l'interesse e l'emozione
dell'artista dall'uomo al paesaggio, ecco che la storia, e il senso dei grandi drammi e
trionfi religiosi e umani si perde: non più sonorità lontane, non più grida e terrori e pianti
in questo disumano soggiorno: il Divino è il vento effuso per le nubi sfioccate, è la trama
degli alberi, è il dorso argenteo delle acque, il vello morbido dell'erba; l'Umano è appena
in questa favolosa sensualità da età dell'oro, ora virginea e dimentica, quasi avesse di
sè popolato con mille vene inconsciamente la terra, ora calorosa e autunnale, come un
sole sgranato in cento polpe di carni e di stoffe maturate nel paese oscuro. Siamo certo
nel regno della musica, ove vibrano i toni più profondi ed essenziali, ma (piasi imper-
sonalmente, perchè sembrano la voce del mondo intero: pura lirica romantica, questa;
non per nulla infatti Giorgione è per noi il mito, la lontanissima sorgente nascosta da
cui ci venne tanto fiume. Già dicemmo, molto innanzi a queste pagine, che la puni-
bilità di questa disumana concordanza era nella stessa realtà estetistica da cui si traeva
Raffaello. Ma Venezia, a cui l'atmosfera colorita dal mare rese sempre il scuso e il fasto
delle sue glorie, non ebbe nemmeno più tardi necessità d'evocazioni lontane, come colei
 
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