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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 27.1924

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Fasc. 4
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Ortolani, Sergio: Coltura ed arte, [4]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17344#0303

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COLTURA ED ARTE

trudere che nell'arte s'annulli proprio quanto il realismo dell'altro pretende di porvi
in special modo. Sicché in ultima analisi questo realismo non vorrà dire altro che pre-
ponderanza dell'elemento individualistico, o vuoi dionisiaco, o vuoi romantico, ai danni
di quello normativo, o apollineo, o classico. Nulla di più normale dunque che chiamare
realistica l'arte dal seicento fino a tutto l'ottocento, quando veramente raccolga il fremito
e il fermento dell'anima romantica che si esprime spontanea e spesso senza freno. Come
è anche vero che, se essa è riuscita all'arte, vuol dire che in qualche modo ha ricavato
di sè una composizione e un ritmo conchiuso che (eccetto che nel primo ottocento ita-
liano, legato sempre all'eredità della norma umanistica) ancóra nessuna tradizione, se non
la meditata elaborazione dell'antica e classica, potevano insegnarle a ritrovare. Da ciò
l'isolato torreggiare dei geni romantici e, nell'esorbitare, la loro quasi disumana gran-
dezza, da Shakespeare a Beethoven, da Rembrandt a Wagner, a Dostojewsky, a Tolstoi:
i quali hanno spesso o tentato o saputo ridurre un oscuro pelago in una immensa archi-
tettura.

Questa tendenza all'autobiografico, diretta figlia dell'individualismo moderno che
accentua nelle figure ch'egli crea il carattere di simboli e motivi personali, si con-
giunge così nella forma realistica a quel novello senso della molteplicità infinita delle
possibilità di azione e deviazione umana, colte nella fatica del loro distinguersi e cre-
scere, cioè nella loro fisionomia; e lo spirito inventivo romantico riesce in tal modo a
popolare di motivi, temi, figure e fatti e movimenti psicologici le vaste testure narrative
moderne. Ma se prevalga, come dicemmo, la personalità sull'opera, avremo il tipo della
creazione romantica, enfatica, sommossa, disordinata, rotta da slanci lirici, cioè da strappi
di grezza emotività; se invece prevalga l'opera sull'artista, ci avvicineremo a quello che
s'è mal detto il naturalismo dei romantici, nel quale il movente autobiografico meglio si
dissimula nelle figure dei simboli che lo rappresentano (Madame Bovary). Conseguenza
di questo sentimento nuovo che raccoglie la conferma della propria singolarità ed esi-
stenza dai molteplici e minimi episodi del suo determinarsi e divenire è quel senso
storico, o delle località e posizioni ambientali, in cui l'azione umana a volta a volta
trascorre, tipico dello spirito romantico. La classica Storia — serie di isolati fatti e
di astratti tipi umani che si propongono come compiuti modelli alla memoria dei po-
steri — si fa quindi la moderna Storia dei movimenti eterni dello spirito, cólti nei loro
momenti individuali ma transeunti o nella dialettica delle realtà conviventi.

Ad ogni modo la prima punta di questo realismo moderno si tocca nella necessità
di scegliere i propri simboli fra le immagini quotidiane, che ci appaiono più nostre
perchè compagne della nostra vita sentimentale, come quelle che si confondono col
vero e proprio oggetto dei nostri desideri o moti dell'animo. Ecco l'origine — in parti-
polemica e reazionaria contro i motivi dell'umanesimo, ormai frusti perchè non più
vissuti e sentiti — del soggetto realistico nel seicento: solo che, in artisti fantastici
come Rembrandt, un viso d'ebreo risusciterà tutta la lontananza d'un dramma biblico
o la misteriosità d'un sogno, mentre in artisti immediati e carnali il ritratto si pro-
porrà — deipari che l'ambiente o la scena di genere o il paesaggio o la natura morta —
come palpitante franche de vie; e naturalismo e realismo si ridurranno — ciò che più spesso
avviene agli italiani — ad una sensuale evocazione di quel grondante frutto della vita,
staccato e isolato dal mondo, e trasfigurato dalla fissità stessa del desiderio — quasi
sempre elementare e giocondo — che vi si contempla vivere per un momento, quasi che
avesse in quello subitamente fruttificato. Non mi si dica che avvilisco al povero valore
d'una viva brama di mordere, o di suggere, la bellezza delle uve d'un Barbieri o la lirica
dei frutti d'un Ruoppolo; come al puro gusto tattile la serica onda delle vesti d'un Genti-
leschi e via via... Lirica!... Oh ben sappiamo che lirico è soltanto ciò ch'è tuttora per noi
emotivamente vivo nell'arte del passato: ciò che insomma tiene assai del nostro gusto
o sensualità momentanea più che del sereno e meditato godimento che l'arte dona sempre
 
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