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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 28.1925

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Fasc. 3
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Ortolani, Sergio: Di Gian Girolamo Savoldo
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https://doi.org/10.11588/diglit.17345#0193

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DI GIAN GIROLAMO SAVOLDO

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riore, nella semplificata ma insistita definizione di quei sassi ed erbe, come nella pre-
visione paesaggistica e pittorica, da lui più intesa che raggiunta, di quei tronchi sca-
vezzi e di quelle fronde dispiccate sul cielo, dalla quale si svolgerà ben presto il tipico
leonardismo di certi lombardi come il Bernazzano, a chi lo riconosca nello sfondo del
5. Giovanni Battista al Louvre.

Lasciamo dunque le malsicure vie del colorito, dopo averle ricondotte alla loro
soglia che non dà certo in Venezia; e riconosciamo con il bonghi che lo squadro della
forma, sebbene sia ancora massiccio e duro come, ad es., in P. Fr. Sacchi, tuttavia, nel
suo gesto istintivo, pare s'avvii verso una riduzione plastica tutta fluente e svolta nella
immediata eloquenza delle sue rispondenze e concordanze, in vista d'un risolvimento
schiettamente tonale pittorico, cioè libero d'ogni preordinato schema e affidato sol-
tanto al suo discorso spontaneo e indipendente. La necessità interiore di tale vol-
garizzamento formale, che parrebbe rivolgersi perfino ai voluminosi « andanti » d'un
Fra' Bartolommeo della Porta, ben ci si chiarisce lombarda, quando ci riporti — come
fa — a quegli spessi ma quasi colati clivi e pendii della forma che nella De posizione del
Foppa, oggi a Berlino, rilegano intorno al Cristo l'onda ravvolta delle pieghe e delle
donne. Al Foppa, dunque, e alla schietta tradizione bresciana, debolmente continuata
dal Civerchio, noi dobbiamo gli andamenti e la natura stessa di questa visione che,
pure respingendo ex intimo ogni concetto di nobiltà e di preminenza dell'uomo sul-
l'ambiente e ogni preordinata gerarchia struttiva di « composizione », riuscirebbe da sè
sola a trasfigurare e riassorbire in una larga e agiata cadenza il verismo tutto fotografico
dei tipi popolareschi e grossolani, se due rigidi argini non la costringessero dall'esterno
a mai suo grado. Nell'uno va ritrovata l'abitudine diretta 0 mediata della mentale di-
sciplina dei toscani; nell'altro il serrarne rigoroso, anche quand'è soltanto stilistico e
decorativo, della « linea » gotica, qui diviata dagli esempi tedeschi e fiamminghi con-
temporanei: e per questo la spontanea « pasta » dell'onesto e bonario eloquio del Foppa
la si vede indurire nel suo gesto medesimo e viziarsi in trazioni e intenzioni costrut-
tive tutte esteriori ed accidentali: così, per esempio, nel rigido arco ogivale in cui il man-
tello del S. Antonio abate gli s'apre sotto le braccia in croce.

V, certo è che l'imitazione della stampa nordica non è qui casuale e provvisoria;
anzi essa riscuote nel pittore tutto un substrato di tendenze grafiche e di predilezioni
per uno stilismo riduttore a schemi rigidamente funzionali, ch'è davvero contraddittorio
rispetto alla realtà del foppismo. Infatti egli, trasponendo nell'arcaistica minuzie del
pennello quel giaffire del bulino sulle schegge o le sinuosità del rilievo, che fu comune
al gusto degli incisori d'oltralpe, finisce col riscattare a posteriori, ovvero per un in-
cosciente ritorno ad atteggiamenti generalmente sorpassati, quanto gli rimaneva di quat-
trocentesco; sicché, a malgrado abbandoni le tipiche abitudini del piegare cartaceo
se non più scheggiato e stratificato, qual'era proprio delle visionarie geologie mante-
gnesche, e perfino quei motivi lineari e superficiali di fasci di corde ora scosse ora al-
lentate, che rimangono cari a molti pittori del primo Cinquecento norditaliano, non sa
disfarsi di quegli inesperti elenchi quattrocenteschi del materiale propriamente de-
scrittivo e paesistico, e invece li rinnova, contro la stessa attualità del suo gusto pla-
stico, subordinandoli alla ricerca tipologica e tutta gotica del particolare. Questa inter-
ferenza di due diverse eredità culturali spiega appunto sia il realismo ricavato addentro
alle affossature e rugosità dei volti, alle nocche dei piedi e delle mani, alle erbe, alle
pietre e alle scoperte radiche, sia la loro distaccata presenza, insieme con quel corvo,
inviato da Dio a recare il pane per gli eremiti, e quella metallica palma ch'è inserta
nella roccia quale elemento descrittivo o vera e propria figura e simbolo del paese am-
biente. Non maraviglierà più, dunque, s'io dico che la tavola che ci interessa inter-
preta con libertà compositiva una nota xilografia d'Albrecht Dùrer, databile intorno
al 1504 e dove si distingue come tema centrale l'arrivo del corvo, qui ridotto a un sem-
 
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