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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 28.1925

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Fasc. 3
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Venturi, Adolfo: Cristo morto di Giambellino
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https://doi.org/10.11588/diglit.17345#0245

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CRISTO MORTO DI GIAMBELLINO

Alla fine del Trecento si diffuse la rappresentazione della leggenda della Messa di San
Gregorio, la quale ci mostra in una accozzaglia i segni, gli strumenti della Passione: i flagelli,
le corde, le croci, la spugna, la lancia, il gallo che canta, i chiodi, il bacio di Giuda, le fiac-
cole dei soldati, la lanterna, il sudario di Veronica, e, tra i simboli di tortura, Cristo morto
che s'innalza dal sarcofago, sacro fantasma con occhi suggellati, senza vita. Questa
traduzione letterale della visione di San Gregorio non poteva trovar incontro nell'arte ita-
liana che dall'ideologica rassegna estrasse la figura del Cristo morto per farne immagine di
pietà, alla quale i divoti dessero lagrime e fiori: sotto il velo della morte, Cristo prega per la
terra derelitta, vive e perdona, grande nel sacrificio; vive, sotto la maschera funebre, per
amare e benedire l'Umanità.

Fra i temi prediletti da Giambellino, fu questa rappresentazione del Cristo morto.
Dalla tomba marmorea, nella primitiva opera di Palazzo ducale a Venezia, tra due dop-
pieri che la fiancheggiano come un altare, il Cristo sorge, sorretto da Giovanni e da Maria.
L'urlo della Madre sembra ridestare a vita il cadavere; tutto intorno è quiete: pregano con
fervore i santi Marco e Nicolò da Bari nel paese montano, schiarato da luci argentine.

Altra evocazione del mistico tema: il quadro della Galleria Poldi Pezzoli a Milano.
Il Cristo è solo, in piedi sulla sua tomba: immagine e paese si fondono in uno stesso spirito
di rassegnato oblio, di triste pace. Semplice, nitido, lo schema della composizione, a rette
incrociate, misurato il ritmo in lentezza dolorosa di pause. Il torso è rigido, le mani s'in-
crociano scheletrite; ma la bella testa si reclina colta da sopore, velata di tristezza; l'im-
magine silente si presenta nel silenzio delle rupi nere, delle acque color di rosa.

Nel quadro del Museo Correr a Venezia due angioletti contemplano, gementi, il
volto chino del Martire: la delicata anima di Giovanni Bellini spira dalle mantegnesche
forme, il dolore si muta in tenera pietà. E anche qui il paese completa l'armonia della
scena: l'ombra dell'aureola si dilata, funebre, sul cielo sanguigno.

Siamo alla Pietà di Brera, il più profondo poema di dolore nell'arte di Giambellino,
arte che è tutta luce, serenità e purezza. Scompare anche il sarcofago: basta, a rappresentar
il dramma sacro, l'unità del gruppo nell'espressione d'angoscia. La madre s'avvinghia al
tìglio, mano contro mano, volto contro volto; la luce del suo sguardo muore; sembra che lo
stesso respiro passi per le due bocche esangui. Il dolore grava sulla Vergine, su Giovanni,
sulla immagine martoriata di Cristo, e le strie orizzontali di nuvole che s'incalzano nel
cielo glauco rendono più grave il ritmo della composizione.

Ancora tre Pietà, nel Palazzo comunale di Kimini, nella Galleria nazionale di Londra,
nel Museo di Berlino: visione, la prima, di farfallette svolazzanti intorno alla salma, di
ali multicolori, di alabastri rosei che traspaiono alla luce del sole; le altre due composte di
un gruppo triplice, il Cristo e due angeli giovinetti, a lui giunti, nel quadro di Berlino,
braccia contro braccia, viso contro viso, in uno stesso arco che le grandi ali screziate sem-
brali sollevare, di colpo, da terra. Di opera in opera, di grado in grado, la rappresenta-
zione dello strazio terrestre s'attenua, il dramma si vela; intorno al sepolcro spira una
mesta pace, sbocciano come freschi fiori le forme angeliche. Nel quadro di Berlino, gli
angeli bellissimi sembrano attendere il risveglio della vita nel volto dormiente di Cristo:
la resurrezione è prossima.

L'Arte. XXVIII, 28.
 
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