Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 28.1925

DOI Heft:
Fasc. 2
DOI Artikel:
Bollettino bibliografico
DOI Seite / Zitierlink: 
https://doi.org/10.11588/diglit.17345#0153

DWork-Logo
Überblick
loading ...
Faksimile
0.5
1 cm
facsimile
Vollansicht
OCR-Volltext
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

I. - Teorie, critica dell'arte.

Max Dvorak, Kunstgeschichte ah Geìstesgeschi-
chte, Miinchen, Piper, 1924.

Storia dell'arte còme storia dello spirito1 Molto seducente
questo titolo che gli amici del Dvorak mettono in fronte a
una postuma raccolta dei suoi saggi. Esso è legittimato da
alcune parole dell'autore, nelle quali egli afferma che l'arte
non consiste soltanto nella soluzione e nello sviluppo di pro-
blemi formali, ma è anche sempre in prima linea espressione
delle idee che dominano sull'umanità; e non meno della
religione, della filosofia e della poesia costituisce una parte
della storia generale dello spirito. Quest'idea domina nei
saggi riuniti in questo volume, disposti in ordine storico dai
compilatori: cosi dalla pittura delle catacombe, inizio del-
l'arte cristiana, passiamo al saggio principe della raccolta
sull'idealismo e il naturalismo nella pittura e scultura gotica;
da questo a Schongauer e la pittura fiamminga, a L'apoca-
lisse del Diircr, per giungere attraverso agli studi sulle pre-
messe storiche del romanticismo fiammingo e su P. Brue-
ghel il vecchio al Greco e al manierismo.

Questo libro certamente è molto importante per la storia
della critica d'arte, in cui segna come un ritorno a una con-
cezione ideale, anzi trascendente, dell'arte, che verrebbe a
essere espressione di aspirazioni infinite dell'umanità, come
nella pittura delle catacombe, e nelle opere del periodo gotico.
Torte e quasi strano contrasto con l'indirizzo critico predo-
minante dell'arte come pura forma e visibilità. La critica
degli elementi figurativi, che nella pratica dell'arte modernis-
sima ha degenerato nell'astrazione da ogni verosimiglianza;
nella pretesa di affrancarsi da ogni vincolo d'imitazione; nel
futurismo insomma, ha troppo spesso dimenticato che la
sensibilità a quegli elementi non è proprio soltanto modernis-
sima; che essi, ad ogni modo, devono soltanto contare come
mezzo e non come fine. Ma il Dvorak è caduto nell'eccesso
opposto. Per lui la realtà dell'opera d'arte non conta; egli
concepisce le produzioni artistiche come strettamente di-
pendenti dalla cultura del periodo in cui sorgono; ora, se è
vero che ci sono artisti che si son fatti interpreti mirabili
di tutte le aspirazioni del loro tempo, che hanno veramente
espresso i dubbi, le angoscie degli spiriti dei loro contempo-
ranei, è anche vero che altri sono vissuti in uno stato di
tranquilla indifferenza e di serenità, elevandosi appunto colla
stessa loro arte in una sfera superiore alla realtà dei loro
giorni. E inoltre bisognerebbe anche nel primo caso cercare
come il mondo che li circondava s'atteggiasse nella loro
antasia. Altro inconveniente di questo genere di critica è

quello di attribuire a un artista concezioni e sentimenti che
son nostri e non suoi; del perdere di vista, astraendo asso-
lutamente da quello che è il linguaggio di un artista di cui
non è possibile non tener conto (il modo di servirsi dei colori
della linea, della luce, ecc.), lo stile, attribuendo ad es., a
un pittore un quadro lontanissimo dalla sua arte, senza
saper distinguere un'opera autentica da una copia volgare.
E non è questa abilità di antiquario, ma condizione essen-
ziale, per la ricostruziope di un artista.

Da questi inevitabili difetti del suo sistema il Dvorak è
tratto ad affermare che le pitture delle catacombe non sono
prodotto di un'arte imperfetta, ma bensì esprimono le aspi-
razioni del cristianesimo a un mondo sovrasensibile e tra-
scendente; che la danza dei morti delle stampe tedesche del
xv secolo esprime il carattere che l'arte assume in Germa-
nia in quel periodo, in contrapposizione all'arte italiana e
fiamminga contemporanee. Si legga quanto a questo pro-
posito è detto alle pagine 186 e 187, e si avrà un esempio
chiaro di quello che il Dvorak sa vedere in una stampa, che
esteticamente considerata ben poco vale nella sua rozzezza.

Il cambiamento dello stile nel Tintoretto, dal colorito
tizianescamente splendido a quello cupo, rotto da bagliori
improvvisi, è spiegato dal Dvorak come reazione al sensua-
lismo dei precedenti pittori veneziani, e frutto di un'arte
indipendente dall'osservazione e dalla riproduzione della
realtà. Per noi invece è il problema dei rapporti della luce
con l'ambiente che riceve una soluzione luministica; è il
colore che si va riducendo a puro tono, a semplice rapporto
di chiaro e di scuro. Così con questi mezzi nuovi, l'artista
potrà esprimere la sua particolar visione del mondo.

Anche frutto di una pura astrazione è considerare il
manierismo come un periodo di scepsi degli spiriti, dopo il
rivolgimento operato nelle coscienze dalla riforma religiosa;
in cui la maniera è seguita dagli artisti perchè è per loro
l'unico punto saldo nello smarrimento generale. La cosa si
spiega benissimo con la mancanza di un artista veramente
creatore, ed è avvenuta nella storia dell'arte altre volte,
anche quando di una tale condizione di spiriti non si poteva
parlare. Quando il Dvorak non si ferma sulle opere parti-
colari, per trarne conferma alle sue generalizzazioni, o su
un breve periodo della storia dell'arte, ma esamina un largo
rivolgimento come quello dell'arte gotica, i difetti del suo
sistema naturalmente s'attenuano, ed è con piacere e ammi-
razione per la sua dottrina e capacità interpretativa che si
leggono le pagine su l'idealismo e il naturalismo nella pit-
tura e scultura gotica, che sono senza dubbio le migliori de^
libro.
 
Annotationen