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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 28.1925

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Fasc. 3
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Nicco Fasola, Giusta: Ravenna e i principi compositivi dell'arte bizantina, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17345#0229

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RAVENNA E I PRINCÌPI COMPOSITIVI DELL'ARTE BIZANTINA

201

Così la questione s'è intricata di malintesi e di
problemi eterogenei, tanto che è diventata un
problema storico essa stessa, ed i trattatisti d'arte
bizantina debbono premettere la storia di questa
sua mostruosa escrescenza.

Chi ha visto chiaro è Louis Bréhier, al quale si
debbono le impressioni più giuste sull'arte bizan-
tina, benché notate di passaggio, trattando del-
l'iconoclasmo. Bréhier dà la ragione della con-
fusione avvenuta, per una faccia almeno della
questione, nella disputasi! Bisanzio e Oriente solle-
vata da Strzygowski e da Diehl. 1 La questione,
egli dice, è stata veduta sotto doppio punto:
tecnico e stilistico. La risposta è diversa per cia-
scuno. Per questo problema: tutti i processi tecnici
sono orientali; ma per lo stile è altra cosa.

Questa dualità nel senso della ricerca è la ra-
gione principale della incomprensione, anche per
gli altri lati del problema.

Dopo Strzygowsky che scioglie nella questione
dell'origine il sistema del Wickoff, nessuna veduta
sistematica si è ripresentata. Storie generali e
particolari descrivono le opere di questo periodo,
ricollegandosi a uno di questi studiosi, o con ve-
dute frammentarie, o con nessun criterio.

Prossimo al Wickoff è Adolfo Venturi.' In-
tende bene la sua funzione di storico e di critico,
mettendosi a contatto delle opere artistiche senza
intermediari concettuali.

Per l'arte bizantina si può dire che egli sia
stato vittima del metodo, filosoficamente così
necessario e così storicamente concreto, di evi-
tare le classificazioni in periodi artistici netti
e staccati. Ogni posizione stilistica si collega a
precedenti avviamenti, ad affermazioni di gusto
e a parziali risultati. Quando manchino le per-
sone di artisti intorno a cui raccogliere artisti
minori e serie di opere, lo storico coscienzioso si
trova fra le mani un fluire graduale di forme,
tanto compenetrate Luna nell'altra, che è difficile
trovare il punto ove troncare la corrente e met-
tere dei confini con un nome. Proprio come nei
confini tra nazionalità, che sarebbero assai diffi-
cili se non ci fossero motivi di tutt'altro genere
che intellettuali a segnare barriere ben precise;
come ben si vede, ogni volta che si sollevano teori-
camente questioni di tal natura.

Adolfo Venturi esita ad individuare l'arte
bizantina staccandola dal fiume della produzione
tardo-romana, cristiana; sopratutto perchè egli
comincia la sua storia trovando l'arte a uno

1 Byzantinische Zeitschrift, anno 1913; A propos de la que-
stioni Orient ou Byzance?, pag. 127.

2 Adolfo Venturi, Storia dell'arte italiana, voi. I, Mi-
lano, Hoepli.

stadio di trasformazione di cui non era compito
suo indagare il processo e la portata. Quasi insen-
sibilmente la materia gli si trasforma tra le
mani, e l'arte bizantina, sempre sul punto di rive-
larsi individualmente, non può spezzare il sottile
legame che la stringe alla folla.

Pietro Toesca, nella sua Storia dell'arte ita-
liana 1 non esce da una descrizione analitica delle
opere bizantine d'Italia, volta volta notando somi-
glianze con l'arte classica, con l'ellenistica o
l'orientale. Naturalismo, convenzionalismo sono i
concetti di cui più si serve; quando parla di
caratteristiche bizantine si riferisce a modi di
rappresentazione: angeli che sostengono un cli-
peo, espressione estatica, tipi iconografici.

Non coordina, e non indaga l'anima di questa
arte; in modo che per ogni opera egli risolve le
questioni preliminari, prepara il terreno con noti-
zie, e lascia al lettore tutto il lavoro interpreta-
tivo. D'altronde una storia generale continuata
dell'arte difficilmente può sviscerare lo spirito di
ogni periodo artistico, per cui occorrono elabora-
zione adatta di pensiero, confronti e libertà di
ordinare, secondo criteri personali, la materia;
cosa che in un manuale storico non è sempre pos-
sibile.

Antonio Muiìoz - dedica gran parte delle sue
opere sull'arte bizantina (L'art bizantini à l'expo-
sition de Grotta/errata, Il codice purpureo di Ros-
sano e il frammento Sinopense, l musaici di Kahriè
Diami) a descrizioni minuziose e oggettive, o a
note iconografiche. Quando tratta di stile, ed è
chiaro sopratutto nel libro sul codice di Rossano,
dove raccoglie in un capitolo le considerazioni
stilistiche, sono ancora le stesse osservazioni, lo
stesso punto di vista, esposti in modo più generale.
Tanto che distingue l'esame stilistico in vari
punti: architettura, paesaggio, gesti, vestiario, ecc.

Qual senso spirituale può restare allo stile
così inteso? quale legame c'è tra le parti artifi-
ciosamente separate? in cosa consiste l'atto unico
della creazione artistica?

Contro queste ed altre domande cozza il Munoz,
perchè ha creduto di risolvere il problema spez-
zandolo in più problemi, senza accorgersi che si
chiudeva la via a capire pure il problema: il quale,
non essendo somma di oggetti fisici, ma forma, si
perdeva per chi lo volesse considerare pezzo per
pezzo.

S'occupò largamente d'arte e di questioni bi-
zantine Charles Diehl; egli definisce quest'arte

1 P. Toesca, Storia dell'arte italiana, Torino, 1914.

- A. MuSoz, 11 codice purpureo di Rossano e il frammento
Sinopense, Roma, 1907; / musaici di Kahriè Diami in Co-
stantinopoli, Costantinopoli, 1906.

VArU, XXVIII, 26.
 
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