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Bullettino della Commissione Archeologica Comunale di Roma — 35.1907

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https://doi.org/10.11588/diglit.13730#0392

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infatti dimostrato che la sostruzione della colonna scende entro
terra di riporto mista a frammenti di lucerne fittili e di vasi
aretini. Un primo passo verso il risanamento di quel luogo fu
fatto prima da Cesare, e poi da Augusto che costruì il suo Foro
in continuazione di quello di Cesare, occupando l'imboccatura
dell'area destinata agli scarichi. Ma questi col tempo si erano
accumulati in guisa da raggiungere la massima altezza di m. 38,
alla fine del primo secolo d. Or. Spetta a Traiano, il merito e
il vanto di aver completamente risanato quel luogo, sostituendo
all'alto cumulo (mons) formato dagli scarichi, il Foro marmo-
reo, e magnifico. E che si tratti, non di un monte naturale,
ma di un gran cumulo artificiale, si deduce chiaramente dal
* verbo egerere dell'epigrafe, poiché il mons, nel senso di cumulo,
cgeritur, mentre il mons naturale caeditur; e, se il suo mate-
riale è atto alla lavorazione, caeditur et trahitur. In quanto al
nesso mons et locus, questo si può bene spiegare con l'endiadi,
e così pure appunto lo intese Cassio Dione (68, 16), il quale
risolve l'endiadi in xwqìov òqsivóv; ma si può intendere anche
il mons per il cumulo nella sua parte più elevata e il locus
per l'area riempita dalle falde del cumulo e necessaria per acco-
gliere tanta opera. Quindi, la colonna non è il monumento sacro
alla memoria di Traiano, come vuole il Boni, nè la iscrizione
indica il volume della massa di marmi adoperati per decorare
il Foro, come sostiene il Comparetti, ma l'una e l'altra furono
poste dal Senato per attestare ai posteri che in quel luogo ove
era un mons formato di scarico di un'altezza pari a quella della
colonna, Traiano volle costruito un complesso di edilìzi splen-
didi. Questa è l'ipotesi ingegnosa sostenuta dal Sogliano, con
esempì simili tolti dalla storia edilizia di Pompei e di Roma.

Ad altro risultato perviene il Mau. Innanzi tutto esamina
egli con molta sagacia la costruzione grammaticale delle ultime
due linee della epigrafe che non è punto semplice, nè corretta,
poiché è esatto il dire quantae allitudinis mons sit egestus, ma
non già quantae altiìudinis locus tantis operibus sit egestus.
Forma corretta sarebbe stata questa : ad declarandum, quantae
altiìudinis mons sit egestus et locum tantis operibus egerendo
factum esse. Siamo dunque in presenza di una costruzione libera,
di uno zeugma, per dirla con una sola parola. La forma sem-
 
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