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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 7.1904

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Fasc. 3
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Bouchot, Henri: L' esposizione dei Primitivi francesi ed i suoi risultati
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https://doi.org/10.11588/diglit.24149#0289

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HENRY BOUCHOT

suoi vicini che meno equilibratamente riunivano le due tendenze ed inclinavano troppo o
in un senso o nell’altro.

Segno ora a grandi tratti il movimento cui diede impulso l’Esposizione del padiglione
Marsan. Molto ancora resterebbe a dire. Potremmo qui richiamare la felice correzione che
un erudito di Vierzon, il signor Paul Gauchery, ha arrecato ad uno studio del prof. Boll
su un manoscritto di Monaco. Indotto da diversi indizi, il Boll pensava che quel codice
avesse appartenuto un tempo a Jacques Coeur il quale vi si vedrebbe rappresentato in una
miniatura, ginocchioni. A malgrado del vestire un po’ troppo moderno della pretesa figura
di Jacques Cosur, molti dotti francesi avevano aderito a tale opinione quando il signor Paul
Gauchery potè dimostrare con prove palmari che si tratta invero di un Jacques Cceur, ma non
del celebre finanziere, bensì di un suo nipote. Il manoscritto di Monaco fu esposto alla Biblio-
teca nazionale.

La sezione del XVI secolo ci forni anche qualche dato preciso, del quale pure dobbiamo
tener conto. Un quadro, di proprietà della signorina Niel, abbastanza ordinario, ci presenta i
ritratti dei due fratelli Stefano e Francesco Poncher. Francesco, che poi divenne arcivescovo
di Parigi, era curato d’Issy nel tempo in cui Rabelais teneva la cura di Meudon. Un altro
ritratto ignorato, appartenente al signor Belvalette, rappresenta Enrico di Montmorency,
figlio del connestabile, cui Chantilly deve il suo maggior splendore. Ma, all’ opposto di
quanto si sperava, la riunione delle opere attribuite a Clouet, a Corneille di Lione e ad altri,
non ha servito a sbrogliare la matassa; ci dovremo ancora accontentare di supposizioni e
di probabilità. Le attribuzioni alquanto ipotetiche fatte dal catalogo non furono combattute
con prove, sibbene con nuove ipotesi. A vero dire l’interessamento non era rivolto a questa
parte dell’ Esposizione. La pittura francese fu guasta nel XVI secolo dai decadenti italiani,
dagli stuccatori di Fontainebleau, dai Raffaelleschi: essa perdette tutta la sua ingenua grazia.
I Clouet appaiono ancora come i tardi rappresentanti dell’antica corrente, ma anch’essi soc-
combono al cattivo gusto ; vedansi le Ninfe, le Paci seminude, la Diana cacciatrice o la
Flora, nonché la Gentildonna al bagno.

Il maestro di Moulins era stato l’ultimo campione dell’arte nazionale, degli architetti
e degli scultori di Nòtre-Dame, della Sainte-Chapelle, dei sepolcri di Nantes e di Souvigny.

* * *

Riassumendo. L’Esposizione dei Primitivi francesi ha nettamente dimostrato che il ter-
ritorio compreso fra la Somma, l’Oceano, i Pirenei e le Alpi conobbe e praticò le arti in
epoca abbastanza antica. Ci si osserva che i maestri di Tolosa, di Avignone e di Aix si dif-
ferenziano da quelli di Parigi e di Tours, che la scuola non è omogenea. Ma fu dessa omo-
genea in Italia o nei Paesi Bassi? Come in ogni dove anche presso di noi i pittori furono
nomadi. Si potrebbe persino formulare un assioma sociale : dove il denaro, ivi l’artista. Sulle
origini, durante il xiii secolo, il denaro affluiva a Parigi almeno in uguale se non in mag-
gior quantità, che nelle più ricche contrade d’Europa. Fu quella l’epoca delle immigrazioni:
tedeschi, valloni, italiani, forestieri d’ogni paese accorrevano in massa. Molti nomi che ancora
si conservano, diventati patronimici, hanno sovente la loro lontana origine negli operai venuti
fra noi; di qui derivano tutti i Lallemand, i Langlois, i Flamand, i Wallon, i Pimond (per
Piémont), i Boulogne (per Bologne). Venivano ove meglio erano pagati, ove abbondava il
denaro. E vera è anche la reciproca. Allorché le Fiandre, mercè i principi di Francia, diven-
nero una delle più ricche regioni d’Europa, i francesi s’avviarono al nord. Non forse fra
questi fu Jacques Daret di Lilla? Nell’Italia stessa non vediamo stabilirsi dei francesi? Se
così è, come si potrebbe, se non per preconcetto, attribuire tutto agli uni e negare tutto agli
altri, vantare le scuole di Haarlem e di Bruges, quelle di Siena e di Milano, e negare che
Parigi, che Amiens — questa Venezia del nord, come il Ruskin la chiama — che Tours,
Tolosa, Avignone, abbiano avuto anch’esse un qualche valore? Se anche non fossimo ad altro
 
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