Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 7.1904

DOI Heft:
Fasc. 1
DOI Artikel:
Rossi, Attilio: Opere d'arte à Tivoli, [1]
DOI Seite / Zitierlink: 
https://doi.org/10.11588/diglit.24149#0061

DWork-Logo
Überblick
loading ...
Faksimile
0.5
1 cm
facsimile
Vollansicht
OCR-Volltext
ATTILIO ROSSI

all’assoluta egemonia dello stile del Rinascimento, mercè il favore di pontefici umanisti, come
Eugenio IV e Niccolò V. Anche le piccole statue argentee e dorate rivelano particolarità
stilistiche e tecniche familiari alla plastica veneziana della metà del Quattrocento. Le vesti
sono ampie, a pieghe numerose e profonde, e raccolte con qualche imbarazzo intorno alla
parte inferiore della figura ; un certo sentimento di rigidezza domina le membra, malgrado
le loro accentuate movenze. Un carattere di estremo realismo distingue alcuni particolari,
cóme le teste, le mani, i capelli, trattati con una diligenza raffinata, che non trascura le
accidentalità più tenui, come le rughe della fronte, le vene delle mani, la natura delle stoffe ;
infine le forme, nonostante le piccole proporzioni dei corpi, mostrano uno spirito plastico
veramente rimarchevole.

Un’ultima particolarità, quella della strana decorazione posta ai lati delle finestrelle della
cornice, ci sembra che confermi la nostra opinione. Noi non conosciamo altre opere della
oreficeria italiana del Quattrocento, le quali offrano elementi ornamentali che stiano a
riscontro dello stile di questi. Invero neppure sappiamo che essi siano familiari all’arte vene-
ziana contemporanea. Quelle mostruose figure umane ed animalesche insieme, dalle forti
zampe artigliate, caprine o pipistrellacee, dal ventre cinto talvolta di sonagliera, che si agi-
tano in atto di sonare corni, campanelli, viole e cornamuse ; quei draghi e grifi e rettili
enormi stricianti, affrontati, attergati o soli, ed i larghi fogliami che si dipartono dalle loro
bocche e s’innestano sui loro corpi, come su quelli delle figure umane, a guise di code, for-
mano un insieme decorativo fantastico, molto raro nell’arte quattrocentesca, che apparisce
qui inaspettatamente, come una tarda reminiscenza delle fantasie decorative dell’arte romanica.

Tuttavia una più attenta osservazione del carattere di queste figure può condurre ad
una maggiore determinatezza intorno alla origine loro. I volti larghi, tondeggianti, schiac-
ciati dalle gonfie gote, gli occhi a fior di pelle, i capelli e le barbe prolisse e diffuse, la foggia
nordica dei copricapi, l’espressione stupida e volgare dei volti, le mostruose combinazioni
della natura umana con quella belluina, richiamano alle memoria tipi e composizioni fami-
liari all’arte tedesca, specialmente nelle antiche stampe e nelle stoffe, per rappresentare figure
di demoni, di satiri, di giullari.' Anche nella scultura tedesca e particolarmente in quella in
legno, nelle decorazioni degli stalli dei cori,* 2 nelle cancellate delle cattedrali, nei grandi taber-
nacoli, sono ancora frequenti nel Quattrocento, rappresentazioni di tipi mostruosi, affini a
quelli del reliquiario di Tivoli, raccolti dalle tradizioni dell’età precedente. Così è pure comune
nella oreficeria germanica del Quattrocento e, in parte, del successivo,3 la decorazione vege-
tale a foglie larghe, grosse, carnose, disposte in rami robusti, alquanto pesanti, come quella
delle nostre lastrelle.

Ora, se devesi attribuire l’ispirazione di questi tipi decorativi a fonti artistiche germa-
niche, conviene anche riconoscere che nessun’altra regione d’Italia poteva presentare una
scuola così favorevolmente -apparecchiata a raccoglierli ed a riprodurli, come quella vene-
ziana. Della quale già rilevammo i caratteri, determinati dal persistere dell’ influsso stilistico
alemanno in pieno Rinascimento e nella quale fin sul finire del Quattrocento potevano tro-
vare onorevoli commissioni orafi di Colonia, stanziati a Venezia. Anzi una particolarità
che vediamo nelle nostre lastrelle, come quella dei fondi trattati alla maniera di una trama
sottile, composta di fila che s’incrociano, ci fa ritenere che il nostro artefice si proponesse
di copiare le fantastiche figurazioni di qualche ricca stoffa di origine tedesca e che egli
mirasse appunto a distendere la sua decorazione sulla cornice del reliquiario, così da offrire
l’illusione di un bel tessuto rabescato, sottoposto ai cinque tabernacoli ed alle pittoresche
bifore. Un esempio opportuno di questo genere di tessuti è offerto da una stoffa germanica.

“ A. Fischer, Das Kupferslichkabìnet, Berlin, 1896 e 1860, taf, XIX, XXIII, XXVII.
e 1901. 3 Molinier, Histoire generale des arts appliqués à

2 E. Aus’m Weerth, Kunstdenkmàler des Christli- ! industrie, Paris, 1896 Voi. IV, pag. 279 e seg.

chen Mìttelalters in den Rheinlanden, Altenburg, 1S57
 
Annotationen