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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 8.1905

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Fasc. 2
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BIBLIOGRAFIA

RECENSIONI.

Dott. Giulio Carotti: Le opere di Leonardo,
Bramante e Raffaello. Milano, Ulrico Bloe-
pli, 1905.

In presenza di simili luminari dell’arte, chi non si
sentirebbe compreso del più alto rispetto? Per quanto
essi abbiano già fornito argomento a contemplazioni
e a studi infiniti, un libro che c’intrattenga di nuovo
intorno ad essi ed in ispecie intorno al loro campo di
attività non può che attirarci ed invogliarci di cono-
scerne il contenuto ; e tanto più quando si sia avver-
tito fino dal primo colpo d’occhio, che la materia trat-
tata dall’autore si presenta accoppiata ad un ricco
corredo di illustrazioni (ben 188), egregiamente appro-
priate a richiamarci alla mente le mirabili loro opere
in tutti i vari rami dell’arte.

Se nel materiale grafico concernente Leonardo è
stata data una notevole prevalenza alla riproduzione
dei disegni suoi, ciò si spiega facilmente per la con-
siderazione che l’indole sua lo trasse principalmente
a siffatto esercizio, inteso a servire non meno alle sue
aspirazioni scientifiche, in ogni ramo dello scibile, che
a quelle più strettamente attinenti all’arte, poiché Leo-
nardo ci si rivela per eccellenza quale scienziato, com-
penetrato di sentimento artistico.

Il Carotti lo contempla nei suoi quattro periodi :
fiorentino, milanese, della vita randagia e dei tre anni
passati in Francia, descrivendo le opere principali in
essi eseguite. Più ardito dei signori direttori del Louvre,
non si perita di rammentare come sua opera giovanile
la delicata predella quivi, rappresentante l’Annuncia-
zione, nella quale la testa della Vergine porge la più
grande affinità di tipo con quella che si vede nel suo
schizzo per una Adorazione dei Magi della stessa rac-
colta del Louvre. Non gli conferma invece, e ben a
ragione, l’altra Annunciazione, nella galleria degli Uffizi,
che parecchi critici germanici principalmente, duce il
def. barone Liphart, troppo facilmente gli vollero pure
aggiudicare.

Discorrendo poi del Vinci come plasticatore, egli

avrebbe fatto bene di occuparsi di un articolo che vi si
riferisce, pubblicato in un fascicolo di un anno fa nel
periodico degli Annuari prussiani per parte del dot-
tore Guglielmo Bode, articolo che non riesce a per-
suaderci a dir vero, che di Leonardo, quale scultore,
si abbia a farci un concetto tale quale scaturirebbe da
certi bassorilievi che gli vengono aggiudicati. Nè ci con-
vincono maggiormente al postutto le due terrecotte del
Museo di Kensington, illustrate dal Carotti, nelle quali
non si saprebbero riscontrare le traccie dell’unghia del
leone, per giovane ed inesperto che dir si voglia.

Ben altra cosa è un’opera di una idealità delle più
raffinate quale la Madonna delle Roccie; della quale,
come osserva pure il nostro autore, esistono per così
dire due edizioni, cioè quella di carattere più intima-
mente fiorentino, nella già rammentata galleria fran-
cese, l’altra fatta a Milano col concorso di Ambrogio
de Predis, oggidì appartenente alla Galleria Nazionale
di Londra. Se il critico in questa si prova di distin-
guere la parte spettante al maestro principale da quella
del secondario, ci pare ch’egli riesca a persuadere con
minore evidenza che se avesse semplicemente richia-
mato l’attenzione sulla grande differenza che corre fra
il merito sempre elevato della tavola principale e la
sensibilissima inferiorità dei due angeli che la fiancheg-
giavano, pure nella galleria di Londra ora, che mo-
strano in tutto e per tutto un’altra mano.

Una scoperta della quale il nostro autore si com-
piace in particolar modo si è quella ch’egli crede aver
aver fatto del vero ritratto della Cecilia Gallerani. Non
si può negare che reca sorpresa l’asseveranza con la
quale lo afferma un uomo noto per la sua modestia
e riserbatezza. In primo luogo è audace cimento il pro-
nunziarsi così esplicitamente, in base ad una semplice
fotografia, ossia senza aver mai veduto l’originale; in
secondo luogo, per quanto sia risaputo che non c’è da
fare assegnamento in genere neppure sulla riprodu-
zione la più perfetta di un dipinto per rilevarne i par-
ticolari tecnici dell’originale, quando si badi unicamente
al modo relativamente impacciato e meschino con cui
 
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