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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 8.1905

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Fasc. 6
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Venturi, Adolfo: La quadreria Sterbini in Roma
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https://doi.org/10.11588/diglit.24150#0477

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LA QUADRERIA STERBINI IN ROMA

L dittico prezioso esposto dal comm. Giulio Sterbini a Grottaferrata ha
avvivato il nostro desiderio di conoscere e illustrare la quadreria della
quale e nobile parte il dittico stesso; e siamo lieti di poter far cono-
scere ai nostri lettori, grazie alla condiscendenza del proprietario, pa-
recchie opere d’arte ignorate sin qui, degnissime d’essere ricordate
nelle monografie che si vanno tessendo sugli artisti italiani.

Del dittico attribuito a Cimabue VArte ha dato già conto. Noi lo
mettemmo in relazione con la Madonna della cappella Rucellai in Santa
Maria Novella, accennando all’esistenza d’una personalità artistica non
definita sin qui, manifestatasi in quel dittico verso il 1320, circa il tempo
in cui Luigi d’Angiò, che vi è figurato, fu messo nel novero dei beati,
laluno potrà osservare che la critica del Wichkoff, del Richter e del
Douglas nega la Madonna Rucellai a Cimabue, e quindi che il punto
di partenza vien meno per ritenere d’un nuovo discepolo e seguace di
questo pittore il dittico Sterbini; ma alla critica negativa di quegli
scrittori si oppose il Fry, sostenendo con criteri stilistici l’attribuzione
tradizionale. Vero è che recentemente il Suida, pure ammettendo che
la Madonna Rucellai riveli uno spirito differente da Duccio di Bonin-
segna, al quale fu attribuita dagli storici suddetti, propende a crederla
opera d’un maestro avente caratteri comuni con Cimabue e con Duccio,
ma senza la forza di quello e la bellezza delle linee di questo. Siffatta
opinione, assai discutibile, non nega del resto alla Madonna Rucellai
le affinità con Cimabue, dal quale facciamo derivare l’arte del dittico.

Un altro problema importante è la determinazione dell’autore d’un’anconetta, attribuita
a Taddeo Gaddi (fig. 1). Trattasi invece d’un più antico e diretto cooperatore di Giotto,
ben distinto da lui per la ricerca accurata di qualche particolare eleganza, per il menomato
movimento realistico delle figure, e sopratutto nel mutamento delle proporzioni de’ corpi e delle
teste. La tavola era la parte mediana d’un trittico, che ora manca delle ali. Una cuspide
con foglie rampanti s’innalza sulla sua centina ogivale, racchiudendo l’imagine del Reden-
tore entro un disco. Nel mezzo della tavola, sopra un alto scanno marmoreo con torric-
ciuole laterali e adorno di stoffa ricamata a quadri e a romboidi d’oro, la Madonna alta,
allungata, tiene il Bambino ritto sulle ginocchia, solo in parte coperto da un drappo rosso.
Egli getta le braccia al collo della madre, che inchina tristamente il capo verso il fanciullo,
il quale ardito e forte la guarda negli occhi. I quattro angioli, due per lato, o indicano il
gruppo divino, o s’appoggiano al trono, secondo il motivo usatissimo già nell’arte di Cimabue
e de’suoi contemporanei. Alti sono gli angeli, nobili paggi d’onore; grandi i santi, coperti
da sacro paludamento, fissi con lo sguardo al gruppo divino.
 
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