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MARIO LABÒ
L'Alessi creò pure in Genova e nei suoi dintorni (fin dal 1548 in Villa Cambiaso) fac-
ciate composte con dne ordini architettonici sovrapposti. Le abbiamo in Villa Cam-
biaso, in Villa Scassi, in Villa delle Peschiere. Ma è proprio il confronto, naturalmente
un po' approfondito, con quelle facciate dell'Alessi, che ci ha da rendere riluttanti ad
attribuire il suo nome a questo palazzo. Intanto, esso manca di quel brio, di quel fer-
vore inventivo, che troviamo nell'Àlessi sempre, ma specialmente nelle sue opere ci-
tate sopra, che sono quelle che fanno più al caso nostro. Là abbiamo varietà negli
scompartimenti verticali, alternanza di sostegni binati a semplici, logge aperte 0 nicchie
finte; insomma, ricerche originali di ritmi, grande ricchezza di elementi, diversa sostanza
architettonica. E poi, teniamo presente una caratteristica che è assolutamente generale
nelle opere certe dell'Alessi: la grande importanza data alle suddivisioni < rizzontali.
Intere, in tutti i loro ben scanditi elementi, si distendono le trabeazioni sopra gli
ordini di colonne o di lesene. Portano i loro triglifi nell'ordine dorico inferiore; nel com-
posito superiore il fregio si amplia (pianto è possibile, si arricchisce di intagli, come
ne è tipico esempio il cornicione famoso di Palazzo Grimaldi, riempito di grappoli.
Nell'architettura dell'Alessi (anche in Palazzo Marino) lo scompartimento orizzontale
predomina sempre, per importanza, su ciucilo verticale.
E basta dare un'occhiata alla facciata di Palazzo Carrega per vedere come qui le cose
stieno precisamente all'opposto: sia per l'estensione che per l'aggetto, le fasce orizzon-
tali sono ridotte ad una funzione modestissima.
Mancano adunque le spiccate caratteristiche alessiane che non si possano spiegare
se non con l'intervento personale del maestro: e che sole potrebbero indurre a mettere
da parte ragioni storiche positive come quelle che abbiamo.
Quel tanto di vagamente alessiano, e nel senso di usato dall'Alessi più che di inven-
tato da lui, che possiamo rinvenire (come l'uso degli ordini, come lo schema del portale,
così somigliante a quello di Palazzo Cambiaso), non contrasta all'indicazione del So-
prani. Amicissimo di Luca Cambiaso che dell'Alessi è considerato, sotto certi rispetti,
addirittura come allievo, il Castello non potè mancare di avvicinare l'Alessi; e certo,
cominciò a lavorare in Genova (le sue opere documentate datano dal 1560 in poi)
quando l'Alessi aveva compiuto i suoi monumenti più insigni, e la sua voga era allo
splendore massimo. Ed era quindi abbastanza naturale ch'egli fosse attratto nell'orbita
di quell'artista poderoso.
Inoltre teniamo presente che il lavoro di quadro della facciata appartiene ad An-
tonio Roderio, braccio destro di Galeazzo Alessi nelle sue architetture genovesi.
E come risultato della collaborazione tra il Castello e il Roderio, come opera
nata in Genova al tempo, e direi sotto gli occhi, di Galeazzo Alessi, ci riesce perfetta-
mente spiegabile questa architettura che dell'Alessi ci presenta qualche riflesso ma non
l'impronta.
Se poi scendiamo ad esaminare i particolari decorativi, ne troviamo taluni che
dal gusto dell'Alessi appariscono totalmente alieni; mentre continuamente li ritroviamo
nel bagaglio abituale del Castello. Sotto il timpano del portale, per esempio, tra i modi-
glioni, invece dei rosoni canonici vediamo intarsii, poligonali ed ovali, di marmi colo-
rati. E sotto il cornicione delle finestre vediamo intagliarsi piccole punte di diamante,
coni, quadratini rilevati, borchie; elementi di cui si può dire che il Castello non sapesse
fare a meno in alcuna occasione.
Potrà sembrare che si sottilizzi; e nel dare importanza ai particolari minuti biso-
gna andare guardinghi: ma l'opera, ripeto, di caratteristiche personali è scarsa: e
per cercarvi un'individualità bisogna tener conto anche degli indizi leggeri, che in
certo qual modo la lasciano trasparire. Or bene, quelle punte di diamante, quelle borchie,
per me sono come una piccola firma del Castello, un po' recondita, ma perfettamente
decifrabile.
MARIO LABÒ
L'Alessi creò pure in Genova e nei suoi dintorni (fin dal 1548 in Villa Cambiaso) fac-
ciate composte con dne ordini architettonici sovrapposti. Le abbiamo in Villa Cam-
biaso, in Villa Scassi, in Villa delle Peschiere. Ma è proprio il confronto, naturalmente
un po' approfondito, con quelle facciate dell'Alessi, che ci ha da rendere riluttanti ad
attribuire il suo nome a questo palazzo. Intanto, esso manca di quel brio, di quel fer-
vore inventivo, che troviamo nell'Àlessi sempre, ma specialmente nelle sue opere ci-
tate sopra, che sono quelle che fanno più al caso nostro. Là abbiamo varietà negli
scompartimenti verticali, alternanza di sostegni binati a semplici, logge aperte 0 nicchie
finte; insomma, ricerche originali di ritmi, grande ricchezza di elementi, diversa sostanza
architettonica. E poi, teniamo presente una caratteristica che è assolutamente generale
nelle opere certe dell'Alessi: la grande importanza data alle suddivisioni < rizzontali.
Intere, in tutti i loro ben scanditi elementi, si distendono le trabeazioni sopra gli
ordini di colonne o di lesene. Portano i loro triglifi nell'ordine dorico inferiore; nel com-
posito superiore il fregio si amplia (pianto è possibile, si arricchisce di intagli, come
ne è tipico esempio il cornicione famoso di Palazzo Grimaldi, riempito di grappoli.
Nell'architettura dell'Alessi (anche in Palazzo Marino) lo scompartimento orizzontale
predomina sempre, per importanza, su ciucilo verticale.
E basta dare un'occhiata alla facciata di Palazzo Carrega per vedere come qui le cose
stieno precisamente all'opposto: sia per l'estensione che per l'aggetto, le fasce orizzon-
tali sono ridotte ad una funzione modestissima.
Mancano adunque le spiccate caratteristiche alessiane che non si possano spiegare
se non con l'intervento personale del maestro: e che sole potrebbero indurre a mettere
da parte ragioni storiche positive come quelle che abbiamo.
Quel tanto di vagamente alessiano, e nel senso di usato dall'Alessi più che di inven-
tato da lui, che possiamo rinvenire (come l'uso degli ordini, come lo schema del portale,
così somigliante a quello di Palazzo Cambiaso), non contrasta all'indicazione del So-
prani. Amicissimo di Luca Cambiaso che dell'Alessi è considerato, sotto certi rispetti,
addirittura come allievo, il Castello non potè mancare di avvicinare l'Alessi; e certo,
cominciò a lavorare in Genova (le sue opere documentate datano dal 1560 in poi)
quando l'Alessi aveva compiuto i suoi monumenti più insigni, e la sua voga era allo
splendore massimo. Ed era quindi abbastanza naturale ch'egli fosse attratto nell'orbita
di quell'artista poderoso.
Inoltre teniamo presente che il lavoro di quadro della facciata appartiene ad An-
tonio Roderio, braccio destro di Galeazzo Alessi nelle sue architetture genovesi.
E come risultato della collaborazione tra il Castello e il Roderio, come opera
nata in Genova al tempo, e direi sotto gli occhi, di Galeazzo Alessi, ci riesce perfetta-
mente spiegabile questa architettura che dell'Alessi ci presenta qualche riflesso ma non
l'impronta.
Se poi scendiamo ad esaminare i particolari decorativi, ne troviamo taluni che
dal gusto dell'Alessi appariscono totalmente alieni; mentre continuamente li ritroviamo
nel bagaglio abituale del Castello. Sotto il timpano del portale, per esempio, tra i modi-
glioni, invece dei rosoni canonici vediamo intarsii, poligonali ed ovali, di marmi colo-
rati. E sotto il cornicione delle finestre vediamo intagliarsi piccole punte di diamante,
coni, quadratini rilevati, borchie; elementi di cui si può dire che il Castello non sapesse
fare a meno in alcuna occasione.
Potrà sembrare che si sottilizzi; e nel dare importanza ai particolari minuti biso-
gna andare guardinghi: ma l'opera, ripeto, di caratteristiche personali è scarsa: e
per cercarvi un'individualità bisogna tener conto anche degli indizi leggeri, che in
certo qual modo la lasciano trasparire. Or bene, quelle punte di diamante, quelle borchie,
per me sono come una piccola firma del Castello, un po' recondita, ma perfettamente
decifrabile.