RECENSIONI
La Peinture Romain?, au Moyen-Apc, son dévelop-
pement du hime jusqu'à la fin Au 13*»' siècle, par
Raimond van Marle. Strasbourg;, 1921, J. H.
Ed. Heitz, pp. 262, tav. 71.
Davvero lodevolissimo il fine propostosi dall'A., quello cioè
di dimostrare lo svolgimento della scuola pittorica romana
dal secolo sesto alla fine del decimoterzo, svolgimento di
importanza storica capitale, clic si prestava moltissimo ad
un'opera d'insieme che mostrasse il divenire delle nuove
espressioni e le continuità mirabili dei nessi sturici dei quali
la scuola romana è particolarmente ricca. D'altra parte le
difficoltà ila risolvere erano (e sono) veramente grandi: si
trattava (e si tratta) di porsi al di sopra dei consueti incasel-
lamene, al di sopra di ogni iconografia, di ogni punto di vista
puramente archeologico, come puramente estetizzante, per
risolvere ogni « materiale » nell'unità vivente della storia,
t'osa veramente rivoluzionaria verso la tradizione della
storiografia artistica medioevale che è stata finora preva-
lentemente materia di studi iconografici e archeologici odi
esclamazioni liriche più 0 meno romantiche, che, nonostante
la meravigliosa erudizione degli studiosi <> la potenza lette-
raria dei descrittori, sono entrambi ben lungi dalla vera
storia.
Per giungere al felice compimento dell'opera propostasi,
occorreva anzitutto che il V. M. non mettesse accanto, quasi
parti indipendenti, le considerazioni relative alla storia poli-
tica e sociale (troppo spesso aritlo elenco <li tatti non valo-
rizzati), quelle iconografiche e stilistiche, le discussioni eru-
dite sulle date controverse, i pochi accenni di sintesi. Senza
contare che a far tante cose insieme in un'opera relativa-
mente breve si rischiava di compiere troppo spesso un la-
voro di compilazione, occorreva senz'altro rigettare tale im-
postazione eclettica e intellettualistica come fallace e piena
di pericoli. Occorreva concentrarsi con tutta l'anima nella
piena determinazione d'i carattere delle varie correnti arti-
stiche, occorreva precisare, magari con esuberanza, il senso
dello svolgimento storico totale, il valore dei singoli artisti
di cui conosciamo o ignoriamo il nome (ciò poco importa).
Non si poteva forse pretendere che l'A. si ponesse con no-
vità, sia pure in torma implicita, il problema dei rapporti tra
la storia artistica e quella totale, ma che facesse più. spesso
della vera storia artistica: questo veramente lo si poteva de-
siderare. Invece «piasi sempre il peccato originario iconogra-
fico (non dell'.\.. ma della maggior parte della storiografia
relativa a tale periodo) manda in malora troppe cose, rat
fredda ogni osservazione, ci pone dinnanzi non a delle opere
d'arte esuberanti di determinazioni concrete, ma a degli
schemi gelidi che si potrebbero adattare ad opere diversis-
sime, schemi che se hanno l'apparenza pretenziosa della falsa
scienza, criticamente sono la maggiore negazione della scien-
za. Così, nonostante che l'A. stesso sia talora sul punto di ri-
conoscere la scarsa importanza che può avere l'iconografia
per chi cerchi di determinare lo stile, (es. p. 90: «... la présence
de certains traits iconographiques byzantiris dans des pein-
tures italiennes du ix* siècle ne doit pas nòus innuencer quand
nous tàchons de déterminer l'origine de leur style... »),
troppo spesso egli non vede le opere che nel loro astratto e
schematico contenuto. Se cosi non fosse, non leggeremmo le
gelide descrizioni iconografiche della crocefissione in S. Ma-
ria Antiqua (]>. 58), del mosaico dei SS. Cosma e Damiano
(p. 25) e di quelli in S. Cecilia e in S. Prassede (pp. 75 sgg.),
tanto per notare alcune tra le più sintomatiche. Se così non
fossi1, l'A. non si sarebbe interessato di constatare che
«panni ce otte l'art itali er doit à Giotto ne se trouve pas une
iconographie nOUvelie » (p. 2.18).
Onesta posizione esterna di fronte alle opere d'arte, che
l'A. non riesce quasi mai a superare si riflette, natural-
mente, anche in taluni singoli giudizi. Certo dire « non senza
pregio » il mosaico di S. Maria in Domnica, la creazione di
maggior valore della Roma di Pasquale I, e dire « assez ciche »
il suo splendidissimo colore è davvero troppo poco. Nè d'al-
tra parte si potrebbe convenire nel giudizio troppo favore-
vole che l'A. dà del mosaico di S. Marco (p. 78). Così può
sembrare eccessiva l'affermazione che l'arte di Magister Con-
xolus sia una introduzione a quella di Giotto (p. 202). Nè
può certo approvarsi l'esaltazione del Toniti sino a dirlo
« ... celui qui semble avoir le mieux exprimé les aspirations
de la plupart des artistes romains du dernier quart du xm*
siècle» (p. 215), nè basta citare l'autorità del Bertaux. 11
Torriti, a ben considerarlo, è un artefice estremamente fiacco;
oltre ad esser debole anche come colorista, non ha nessun vi-
gore costruttivo (basti confrontare le storie della Vergine in
S. Maria Maggiore con quelle del Cavallini nella chiesa di
Trastevere). Come, lo si può dire l'artista più rappresentativo
del tempo? Non era certo il suo calligrafismo la nuova parola
della sua età. Così non appare del tutto convincente l'attri-
buzione degli affreschi nella nave della basilica superiore di
S. Francesco d'Assisi: si possono dire davvero opere inferiori
e di scuola il sacrificio dì Àbramo e la costruzione dell'Arca
(p. 220)?
Ma è bene non dilungarci nelle singole osserva/ioni. Ve-
niamo alle linee generali dello svolgimento storico che l'A.
osserva nella pittura medioevale romana. Anche qui, ci
duole il dirlo, si nota troppo spesso una mancanza di deter-
La Peinture Romain?, au Moyen-Apc, son dévelop-
pement du hime jusqu'à la fin Au 13*»' siècle, par
Raimond van Marle. Strasbourg;, 1921, J. H.
Ed. Heitz, pp. 262, tav. 71.
Davvero lodevolissimo il fine propostosi dall'A., quello cioè
di dimostrare lo svolgimento della scuola pittorica romana
dal secolo sesto alla fine del decimoterzo, svolgimento di
importanza storica capitale, clic si prestava moltissimo ad
un'opera d'insieme che mostrasse il divenire delle nuove
espressioni e le continuità mirabili dei nessi sturici dei quali
la scuola romana è particolarmente ricca. D'altra parte le
difficoltà ila risolvere erano (e sono) veramente grandi: si
trattava (e si tratta) di porsi al di sopra dei consueti incasel-
lamene, al di sopra di ogni iconografia, di ogni punto di vista
puramente archeologico, come puramente estetizzante, per
risolvere ogni « materiale » nell'unità vivente della storia,
t'osa veramente rivoluzionaria verso la tradizione della
storiografia artistica medioevale che è stata finora preva-
lentemente materia di studi iconografici e archeologici odi
esclamazioni liriche più 0 meno romantiche, che, nonostante
la meravigliosa erudizione degli studiosi <> la potenza lette-
raria dei descrittori, sono entrambi ben lungi dalla vera
storia.
Per giungere al felice compimento dell'opera propostasi,
occorreva anzitutto che il V. M. non mettesse accanto, quasi
parti indipendenti, le considerazioni relative alla storia poli-
tica e sociale (troppo spesso aritlo elenco <li tatti non valo-
rizzati), quelle iconografiche e stilistiche, le discussioni eru-
dite sulle date controverse, i pochi accenni di sintesi. Senza
contare che a far tante cose insieme in un'opera relativa-
mente breve si rischiava di compiere troppo spesso un la-
voro di compilazione, occorreva senz'altro rigettare tale im-
postazione eclettica e intellettualistica come fallace e piena
di pericoli. Occorreva concentrarsi con tutta l'anima nella
piena determinazione d'i carattere delle varie correnti arti-
stiche, occorreva precisare, magari con esuberanza, il senso
dello svolgimento storico totale, il valore dei singoli artisti
di cui conosciamo o ignoriamo il nome (ciò poco importa).
Non si poteva forse pretendere che l'A. si ponesse con no-
vità, sia pure in torma implicita, il problema dei rapporti tra
la storia artistica e quella totale, ma che facesse più. spesso
della vera storia artistica: questo veramente lo si poteva de-
siderare. Invece «piasi sempre il peccato originario iconogra-
fico (non dell'.\.. ma della maggior parte della storiografia
relativa a tale periodo) manda in malora troppe cose, rat
fredda ogni osservazione, ci pone dinnanzi non a delle opere
d'arte esuberanti di determinazioni concrete, ma a degli
schemi gelidi che si potrebbero adattare ad opere diversis-
sime, schemi che se hanno l'apparenza pretenziosa della falsa
scienza, criticamente sono la maggiore negazione della scien-
za. Così, nonostante che l'A. stesso sia talora sul punto di ri-
conoscere la scarsa importanza che può avere l'iconografia
per chi cerchi di determinare lo stile, (es. p. 90: «... la présence
de certains traits iconographiques byzantiris dans des pein-
tures italiennes du ix* siècle ne doit pas nòus innuencer quand
nous tàchons de déterminer l'origine de leur style... »),
troppo spesso egli non vede le opere che nel loro astratto e
schematico contenuto. Se cosi non fosse, non leggeremmo le
gelide descrizioni iconografiche della crocefissione in S. Ma-
ria Antiqua (]>. 58), del mosaico dei SS. Cosma e Damiano
(p. 25) e di quelli in S. Cecilia e in S. Prassede (pp. 75 sgg.),
tanto per notare alcune tra le più sintomatiche. Se così non
fossi1, l'A. non si sarebbe interessato di constatare che
«panni ce otte l'art itali er doit à Giotto ne se trouve pas une
iconographie nOUvelie » (p. 2.18).
Onesta posizione esterna di fronte alle opere d'arte, che
l'A. non riesce quasi mai a superare si riflette, natural-
mente, anche in taluni singoli giudizi. Certo dire « non senza
pregio » il mosaico di S. Maria in Domnica, la creazione di
maggior valore della Roma di Pasquale I, e dire « assez ciche »
il suo splendidissimo colore è davvero troppo poco. Nè d'al-
tra parte si potrebbe convenire nel giudizio troppo favore-
vole che l'A. dà del mosaico di S. Marco (p. 78). Così può
sembrare eccessiva l'affermazione che l'arte di Magister Con-
xolus sia una introduzione a quella di Giotto (p. 202). Nè
può certo approvarsi l'esaltazione del Toniti sino a dirlo
« ... celui qui semble avoir le mieux exprimé les aspirations
de la plupart des artistes romains du dernier quart du xm*
siècle» (p. 215), nè basta citare l'autorità del Bertaux. 11
Torriti, a ben considerarlo, è un artefice estremamente fiacco;
oltre ad esser debole anche come colorista, non ha nessun vi-
gore costruttivo (basti confrontare le storie della Vergine in
S. Maria Maggiore con quelle del Cavallini nella chiesa di
Trastevere). Come, lo si può dire l'artista più rappresentativo
del tempo? Non era certo il suo calligrafismo la nuova parola
della sua età. Così non appare del tutto convincente l'attri-
buzione degli affreschi nella nave della basilica superiore di
S. Francesco d'Assisi: si possono dire davvero opere inferiori
e di scuola il sacrificio dì Àbramo e la costruzione dell'Arca
(p. 220)?
Ma è bene non dilungarci nelle singole osserva/ioni. Ve-
niamo alle linee generali dello svolgimento storico che l'A.
osserva nella pittura medioevale romana. Anche qui, ci
duole il dirlo, si nota troppo spesso una mancanza di deter-