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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 25.1922

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Fasc. 2
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Pittaluga, Mary: L' attività del Tintoretto in Palazzo Ducale
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https://doi.org/10.11588/diglit.17342#0109

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L'ATTIVITÀ DEL TINTORETTO IN PALAZZO DUCALE

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lode. L'opera di Tintoretto anche nelle maggiori prove, diede spesso luogo a discussione
e a disparità d'apprezzamento, perchè la maniera dell'artista, « sconcertcvole e bizzarra »,
non era tale da destare plauso unanime. Ma non questi quattro dipinti, che sembrarono
a tutti perfetti, e nei quali, chi altro noi) vide, lodò la sottigliezza significativa dell'al-
legoria! Dalla ricevuta di pagamento s'apprende già come le quattro opere, riunite, do-
vessero significare per i signori magnati «l'unità» del governo veneto; il Moschini, poi,
ancor ci dà schiarimenti!...1

Ho premesso dunque che queste opere danno, a chi guardi con sereno intelletto
d'arte, impressione d'eccezionalità. Ora, se ciò non m'induce a soverchia sosta, mi sarebbe
caro fissare gli aspetti, onde l'artista è giunto, per via meno consueta, al conseguimento
del capolavoro.

Siamo, s'abbia presente, nel '78, quando cioè il Tintoretto creava il vaste mondo della
sala superiore della Scuola di S. Rocco, e dominava le scene parietali col vigor prepotente
delle sue glissades di luce, da cui le forme uscivano disfatte, e novellamente costruite: il
problema di conciliazione fra corporeità e colore tentava l'attuazione nella luce, la quale
assumeva predominio sull'uno e l'altro elemento, riuscendo, a volte, 0 direttrice stilistica »
della composizione, e, in qualche caso, anzi, unica attrice del dramma pittorico. Ed è pa-
lese, dinanzi alle scene della scuola di S. Rocco, dal tempi) poco rispettate, come Jacopo
si sia pieoccupato, essenzialmente, di padroneggiarlo, questo maldominabile elemento-
luce, per far ch'esso, a sua volta, dominasse la composizione; e come, soltanto con
la più coerente subordinazione d'ogni circostanza (forma, colore, moto), egli avesse
consapevolezza di conseguir sintesi artistica.

Il principio d'arte degli inizi del Cinquecento veneto della svalutazione della solidità
corporea, la quale veniva sostituita dalla corrispondente massa riempitiva dello spazio,
principio che già Tiziano aveva tentato applicare nella S. Brigida della giovanile Sacra
('ti)iversazionc del Prado, trovava insomma arditissima applicazione, dopo il 1570, nell'o-
pera del Tintoretto; specialmente nella Scuola di S. Rocco.

Ora, nei quadri dell'Anticollegio, invece, mi par che Jacopo non si sia proposto per-
fettamente il consueto problema: egli non ha voluto, questa volta, ricercar effetti lumi-
nistici: ha fatto, se puè) dirsi, un magnifico passo indietro nella via della sua evoluzione
artistica, ed ha creato opere in cui la luce domina sì,ma non tanto da non rispettar la
forma, la quale, venetamente intesa, si svolge nel più puro dei ritmi, come linea e come
colore. A qual fine ciò è accaduto? Se colla mente s'avvicina al Bacco ed Arianna del-
l'Anticollegio l'Adamo ed Eva dell'Accademia, si direbbe che nelle due tele, offrenti simi-
glianza di tema iconografico — nudi in luogo aperto — la luce non ha azione stilistica
espressamente diversa. Eppure, chi non sente che lo spirito delle due opere è mutato, 0
meglio, che ne è mutato il grado evolutivo?

All'Accademia la luce è un fluido mirabile, ambrato, ricco d'intrinseche sostanze,
che tutto imbeve, figure e paesaggio. Ma questo aureo elemento, dalla cui funzione ordi-
natrice vien sì bella unità all'opera, non è, tuttavia, carattere esclusivo della visione
tintorettesca: in Tiziano lo troviamo; e, sia pur con fine stilistico meno sicuro, in Paris,
in Bonifacio, in Pordenone; lo troviam perfino, a ritroso nel tempo, in Giambellino enei
Quattrocentisti: questi lo usarono senza intento dinamico, lo fecer più fisso, più trasparente,
più lucido, poco capace d'arrotondar contorni e di trasformar la forza qualificativa del
colore, ma pur lo usarono: può dirsi anzi, che nella luce della pala di Santi, di Cima,
alla Madonna dell'Orto, vi sia in germe, la luce della vicina Presentazione al tempio della
Vergine, del Tintoretto.

Nelle scene dell'Anticollegio, invece, detto elemento non cessa d'esser il resultato
estremo dell'applicazione evoluta di formule anche da altri usate; ma pur ha mutato veste:

1 Lorenzi, op. cit., pag. 449, doc. 880.
 
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