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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 25.1922

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Fasc. 4
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Ortolani, Sergio: Cavalliniana: (10 dicembre 1622 - 10 dicembre 1922)
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https://doi.org/10.11588/diglit.17342#0223

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CAVALLI NI AN A

197

godimento di questa; finché, raggiunta una mediocre singolarità d'accentuazione, vi si
adagiano in comodi rapporti. La stessa facoltà armonizzatrice, il deus ex machina, la
soluzione, la catarsi del dramma è qui ridotta ad uno scherzo di lampade da ribalta, cioè
ad un piano di valori prestabilito arbitrariamente con violenze chiaroscurali, nel quale
i toni si organizzano volta a volta assai provvisoriamente. L'interesse all'opera è perciò
mediocrissimo nello spirito stesso dell'artista; il dramma è finto come un elegante pro-
blema — come un balletto o come una partita a scacchi — e solo in minima parte
necessario e sofferto.

Cosa rimane? Questa stessa fluttuante approssimazione, questo ripetersi e ripren-
dersi, gravitando sempre intorno al medesimo problema da noi inizialmente proposto,
questo leit-motiv d'intenzioni e risoluzioni ci descrivono uno spirito ondeggiante e fem-
minesco, una sensibilità sentimentalistica, che si distacca, mai confidata intera, da ogni

Fig. 7 — B. Cavallino : Le nozze di Cana (particolare).
(Fot. Grassi).

espressione sua, rifugiandosi in una sterile adorazione della materia e del mezzo; ma tut-
tavia abbastanza vivamente diversa da quella del tempo e originale appunto in quanto
può far prematuramente pensare ad un che di turbato e di romantico.

Fin qui però il giudizio che ne verrebbe, a parte l'incidenza di un valore storico e
non estetico da delimitare, sarebbe quasi tutto negativo. E ingiusto. Perchè non ci siamo
ancor dati una ragione del fatto che questa opera ci piace, non solo per la finezza delle
stoffe, delle sete e dei veli ; dobbiamo dunque riconoscere che elementi maggiori che
non sia un puro presupposto pittorico o d'immediato interesse lirico devono entrare
nel giudizio critico definitivo.

Infatti, se un interesse ci lega a queste opere non è quello diretto, di cui parlammo;
ma uno mediato, che ci seduce quando l'artista è preso dall'opera sua meno in quanto
egli è tale che in quanto inconsciamente critico di se stesso e del suo tempo, cioè di
quell'aspetto pittorico tradizionale ch'egli manieratamente continua a riprodurre, ma che
non sente più, pur non avendo la forza di sostituirgliene uno proprio.

Siamo nel periodo in cui lo spinto umano, esaurito dallo sforzo titanico d'esplora-
zione nei reami del favoloso e del divino, con Raffaello, Michelangelo, Tintoretto, si
ripiega, come stroncato e nemico, a ciò che gli sembra ancor reale di sè ed intatto: la
 
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