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GIUSEPPE DELOGU
angoli delle vaste decorazioni noncuranti della
scena; madonne, sante, divinità, figure muliebri
paganamente simboleggiatiti gli elementi di natura,
son tutt'uno: sono il tipo costante della donna sua.
Raramente scene e quadri di dolore attraggono
nella loro orbita lo spirito del pittore che si ricrea
e gode degli scherzi lascivi di ninfe e di satiri, delle
burle del Piovano Arlotto; più che di apocalittiche
visioni egli si interessa del quadretto di genere
aurate di angeli o di amorini tentano l'azzurro
cangiante del cielo e le figure dell'Aurora e della
Notte, della Aurora, e di Titone, della Quiete e dei
Venti s'adagiano sulle più soffici nubi per asso-
pirsi o per svolgere un arcadico dialogo d'amore.
* * *
L'opera di Giovanni da S. Giovanni compie dal
principio alla fine una strana trajettoria. Può
Fig. il — Giovanni da San Giovanni:
Lo Sposalizio della Vergine nell'oratorio della Madonna
in San Giovanni Valdarno.
gustoso, piccante spesso, comunque sempre ag-
graziato, arguto e gentile: è, in un certo senso, un
generisla per temperamento; nota cosi in una grande
tela (fig. 6) il pudico timore e la tremante rilut-
tanza della sposa novella (1620); fa del riposo in
Edilio (1621), fra le quinte di una scenografia ori-
ginale e graziosa, una fermata in una locanda rusti-
ca (fig. 7); e della morte di Cleopatra (1627) un chias-
soso fatto di cronaca: il suicidio di una mondana del
suo tempo, che si compie fra l'accorrere di serve e
di amiche. E ancora le cosmogoniche allegorie in
cui dovrebbero apparire le forze terribili degli
Elementi e dovrebbe folgorare la volontà di Geova,
di Saturno e del Padreterno, si risolvono in idil-
liache, rosate e soavi scene in cui le morbide piume
tutta racchiudersi nel ventennio che va dal 1616
(decorazioni nella cappella della Villa Tosini, « Ca-
sale » — dintorni di Firenze — « Tabernacolo di via
Ghibellina » (fig. 8), Firenze) al 1636, anno in cui la
morte tronca con la sua vita la decorazione della
grande sala degli Argenti a Palazzo Pitti; muore
dunque nella pienezza del vigore e dell'operosa
virilità; sarebbe quindi d'aspettarsi come create
nell'ultimo tempo le migliori cose dell'artista.
Ma am lie un sommario esame ed una visita su-
perficiale alla parete di destra della sala degli Ar-
genti convince del contrario.
Il concetto d'ogni quadro che pretenderebbe
d'essere elevato pensiero o alata allegoria, è spesso
banale e peregrino (vedi ad esempio la figura del
GIUSEPPE DELOGU
angoli delle vaste decorazioni noncuranti della
scena; madonne, sante, divinità, figure muliebri
paganamente simboleggiatiti gli elementi di natura,
son tutt'uno: sono il tipo costante della donna sua.
Raramente scene e quadri di dolore attraggono
nella loro orbita lo spirito del pittore che si ricrea
e gode degli scherzi lascivi di ninfe e di satiri, delle
burle del Piovano Arlotto; più che di apocalittiche
visioni egli si interessa del quadretto di genere
aurate di angeli o di amorini tentano l'azzurro
cangiante del cielo e le figure dell'Aurora e della
Notte, della Aurora, e di Titone, della Quiete e dei
Venti s'adagiano sulle più soffici nubi per asso-
pirsi o per svolgere un arcadico dialogo d'amore.
* * *
L'opera di Giovanni da S. Giovanni compie dal
principio alla fine una strana trajettoria. Può
Fig. il — Giovanni da San Giovanni:
Lo Sposalizio della Vergine nell'oratorio della Madonna
in San Giovanni Valdarno.
gustoso, piccante spesso, comunque sempre ag-
graziato, arguto e gentile: è, in un certo senso, un
generisla per temperamento; nota cosi in una grande
tela (fig. 6) il pudico timore e la tremante rilut-
tanza della sposa novella (1620); fa del riposo in
Edilio (1621), fra le quinte di una scenografia ori-
ginale e graziosa, una fermata in una locanda rusti-
ca (fig. 7); e della morte di Cleopatra (1627) un chias-
soso fatto di cronaca: il suicidio di una mondana del
suo tempo, che si compie fra l'accorrere di serve e
di amiche. E ancora le cosmogoniche allegorie in
cui dovrebbero apparire le forze terribili degli
Elementi e dovrebbe folgorare la volontà di Geova,
di Saturno e del Padreterno, si risolvono in idil-
liache, rosate e soavi scene in cui le morbide piume
tutta racchiudersi nel ventennio che va dal 1616
(decorazioni nella cappella della Villa Tosini, « Ca-
sale » — dintorni di Firenze — « Tabernacolo di via
Ghibellina » (fig. 8), Firenze) al 1636, anno in cui la
morte tronca con la sua vita la decorazione della
grande sala degli Argenti a Palazzo Pitti; muore
dunque nella pienezza del vigore e dell'operosa
virilità; sarebbe quindi d'aspettarsi come create
nell'ultimo tempo le migliori cose dell'artista.
Ma am lie un sommario esame ed una visita su-
perficiale alla parete di destra della sala degli Ar-
genti convince del contrario.
Il concetto d'ogni quadro che pretenderebbe
d'essere elevato pensiero o alata allegoria, è spesso
banale e peregrino (vedi ad esempio la figura del