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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 8.1905

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https://doi.org/10.11588/diglit.24150#0109

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BIBLIOGRAFIA

pi iceri, e colla mente intagliando chose impossibili e
col corpo pigliando que’ piaceri, che spesso sono cagione
di mancamento di vita, ecc.

Proseguendo, il Colvin con buon accorgimento to-
glie a Leonardo per aggiudicarlo al suo scolaro, il
Boltraffio, lo studio di una testa di donna, diligente-
mente disegnata con la punta d’argento, fin qui ge-
neralmente data al maestro. E in vero ogni critico
avveduto non potrà che consentire con le motivazioni
che fa l’autore nella sua presentazione di siffatto fo-
glio. Dopo avere osservato che il modellato del viso
trova corrispondenza con quelli delle Madonne di-
pinte dal Boltraffio ed esistenti nel Museo Poldi Pez-
zoli a Milano e in quello Nazionale di Budapest (e
avrebbe potuto aggiungere con quello della lunetta
di Sant’Onofrio a Roma) egli avverte la scarsa ispi-
razione nel tocco dell’ esecutore, una certa durezza
persistente nel modellato delle singole parti e fra
altro i tratti delle ombreggiature costantemente scor-
renti da destra a sinistra, invece che nel senso con-
trario, come era la consuetudine di Leonardo.

Che di quest’ultima circostanza debba essere te-
nuto conto come di un distintivo in via generale fra il
modo di disegnare di Leonardo e de’ suoi discepoli, è
cosa sulla quale non sapremmo che insistere assoluta-
mente, sicuri ch’esso unitamente ad altri distintivi di
un ordine più spirituale, voglia essere osservato per
riescire a una più retta classificazione dell’operato del
maestro. Certamente non si vorrà sostenere ch’egli si
fosse astenuto interamente dal tratteggiare in diversi
modi quanto gli si presentava come oggetto da ripro-
durre, massime quando era il caso di ottenere l’effetto
del tondeggiare dei corpi, come giustamente notò il
Lermolieff. Sono questi i casi che dai critici più raffi-
nati vorranno essere presi in seria considerazione e
che potranno spingerli a risultati ai quali il nostro
eminente critico sarebbe pure giunto con ogni proba-
bilità, se gli fosse stato concesso di vivere più a lungo.
Per addurre solo un paio di esempi, diamo qui ripro-
dotti due studi del noto soggetto della Leda col ci-
gno, appartenenti l’uno alla raccolta granducale di
Weimar, l’altro a quella ducale di Chatsworth, studi
che il Morelli credette dovere relegare fra le opere del
Sodoma, ma che secondo la sua avvertenza medesima,
dianzi riportata, crediamo vadano riconfermati real-
mente a Leonardo, tanto ci appaiono improntati del
suo genio, della sua particolare grazia e spontaneità,
non meno nell’essenziale delle figure che negli acces-
sori che le circondano. Che se i tratti di penna non
appariscono così leggeri e scorrevoli come nei suoi schizzi
appena accennati con pochi colpi, certamente ciò si
spiega pel fatto che l’autore volle studiarsi di dare vie-
maggiore rilievo alle sue figure, tratteggiandole anche
in modo diverso da quello da lui usato generalmente.

D’indubbia autenticità sono i quattro fogli ricavati
da studi di Michelangelo. Rivelano il tratto grandioso

e indagatore alla sua volta del suo ingegno, benché
non siano tutti della massima importanza. Di un certo
profilo di donna, a matita rossa, che arieggia quasi
una delle sue Sibille, l’autore avrebbe dovuto enu-
merare le repliche, o copie che ci è accaduto di vedere
in altre raccolte.

Un interesse speciale ce lo presenta lo schizzo a
penna del gruppo rappresentante Sant’Anna con in
grembo la Madonna e il Bambino. Si sa che a suo
tempo fece epoca a Firenze simile soggetto trattato da
Leonardo in un cartone che il Vasari ci decanta, rac-
contando come fosse stato esposto all’ammirazione del
pubblico. Non è fuori di luogo ammettere, come fa
il nostro critico, che il Buonarroti si fosse ispirato al
concetto leonardesco, pur traducendolo con molta
libertà e molte varianti nello stile suo proprio.

Sorvolando sulle cose di minor conto — come che
degne sempre di essere studiate dagli appassionati —
eccoci dinanzi il delizioso studio per la Madonna del
Cardellino, che nel precedente nostro articolo abbiamo
dato riprodotto di fronte al quadro corrispondente.
Rispetto all’opera eseguita il commentatore considera
codesto abbozzo come uno studio intermedio fra i due
motivi per lo stesso soggetto, trattati in un foglio ripro-
dotto nella sua prima parte, intorno all’autenticità del
quale lo scrivente ha già manifestato i suoi dubbi.
Siffatto dubbio ora egli non saprebbe che confermare,
paragonando nuovamente i due fogli, rammentando
pure l’impressione provata di fronte agli originali
veduti in Oxford.

Di poco posteriore alla Madonna del Cardellino è
quella chiamata la Belle Jardinìère, al Louvre. Un
disegno che si riferisce a codesto quadro, ce lo porge
egualmente riprodotto il Colvin, ed è cosa finamente
sentita. Si riferisce alla figura del Bambino Gesù e
a uno studio ripetuto quattro volte, per dare forma e
movenza appropriata al suo piedino sinistro. Testimo-
nianza eloquente anche codesta dell’amore, col quale
i nostri grandi autori si prendevano a cuore il loro
assunto.

Sono rappresentati inoltre nella stessa cartella altri
tre grandi artisti appartenenti alle regioni settentrio-
nali del mondo civile, cioè: Rembrandt, Rubens e il
valoroso suo discepolo Vati Dyck. Del primo avvi
un motivo di soggetto campestre, vale a dire un ca-
solare rustico vicino a uno stagno, caratteristico per
le masse di chiaro e di oscuro sapientemente alter-
nate secondo l’uso dell’autore. Lo spazio avendolo
concesso venne applicato sullo stesso cartone un altro
disegnino di un suo scolaro, raro a riscontrarsi e che si
segna A. Furnerius. Viene qualificato per una vedu-
tina di Amsterdam ed è ideata in modo alquanto af-
fine a simili cose trattate dal grande maestro.

Un cartoncino, di larghissima fattura, studio dal
nudo della parte superiore del corpo di un uomo ner-
boruto in movimento molto accentuato, corrisponde
 
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