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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 8.1905

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Fasc. 2
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24150#0167

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MISCELLANEA

124

riento. Il Sant’Antonio e il primo degli apostoli, dalla
fìsonomia duramente tagliata, sono di una grande
forza di espressione soprattutto negli occhi; mentre il
San Sigismondo, veduto in piena faccia, sembra come
imbambolato, ma si avvicina molto a quelle teste di
gufo che abbiamo notato nell’Annunciazione e nelle
croci.

Gli occhi lunghi e stretti, tagliati a mandorla, le
mani sottili e lunghe, disegnate mollemente tanto che
non si distingue il palmo dal dorso, il modo di dar
rilievo e forza di espressione alle facce con luci forti
soprattutto intorno agli occhi, sono caratteri che si
incontrano in ogni opera del Guariento. Anche vanno
ricordati i colori chiari, con quel verde cangiante in
rosso che il pittore predilige nei vestiti.

Le pazienti cure del dott. Gerola hanno messo in
luce in alto sopra le iconi dei santi una fascia di finta
decorazione marmorea con delle piccole figure in chia-
roscuro: un San Pietro, un San Giorgio, un San Fran-
cesco, un Cristo benedicente, e sull’altra parete l’An-
gelo e l’Annunziata, molto belle ed espressive, che
ricordano da vicino le figure in chiaroscuro del ciclo
astronomico degli Eremitani, .non senza le caratteri-
stiche durezze dei contorni.

In basso, essendo caduto il leggero strato d’into-
naco dipinto, si vede tutto lo spartimento della parete
e l’abbozzo generale dell’affresco segnato dal pittore
a linee rosse. Metodo che egli ha usato anche nel
grande affresco del Paradiso veneziano.

Sulla parete di destra nell’oratorio, dedicato a Santo
Antonio, era dipinta, in molti quadri in più file, la vita
del santo abate. Ora non rimane che la fila supe-
riore, essa pure tutta martellata. Ma non è troppo da
deplorarne la perdita ; perchè opera di uno zotico pit-
tore, senza grazia nè arte, indegno seguace del mae-
stro padovano. Opera sua è la grande figura del-
l’apostolo alla destra della seconda Vergine sulla
parete di contro; come appare manifesto dalla rozzezza,
dalla imperizia del disegno non che da parecchie ca-
ratteristiche, come quella di disegnare le sopracciglia
a piccole crocette di Sant’Andrea.

Rimane completamente visibile ancora la scena delle
tentazioni carnali: al santo appare un letto ed una
donna cornuta che alza impudicamente le vesti ; mentre
alla destra gli si prostra l’orrido fanciullo nero, il de-
mone della fornicazione da lui soggiogato. Ma il rozzo
pittore non merita più lunga osservazione.

Nel piccolo sacello il Guariento non degnò dipin-
gere che le grandi iconi, dopo avere divisato tutto il
qomplesso decorativo.

È da sperare che dell’opera sua, che si deve essere
svolta con ben maggiore ampiezza nella grande chiesa
di San Francesco, le dotte indagini del dottor Gerola
abbiano a ridonarci qualche altro frammento. Intanto
a me sembra che dalle figure dell’oratorio, e dalla
testa di Sant’Antonio soprattutto, ci venga un’altra

attestazione, non trascurabile, dello spirito potente-
mente religioso del Guariento.

Fra i giotteschi è l’unico a sentire ancora l’antica
grandiosità mistica che il maestro aveva derivata dai
monumenti medioevali, e dalla pittura romana in modo
speciale Egli non ha nulla di comune coll’arte di
genere dei giotteschi toscani, nè può essere conside-
rato precursore di quel raccontare ampio e fastoso
che pochi anni dopo di lui, trionferà splendidamente
con l’Altichiero. Egli è ancora un pittore medioevale.

Gino Fogolari.

Un nuovo lavoro Donatelliano. — Non è più,
ormai, tanto frequente il caso che tornino all’ammi-
razione del pubblico insigni opere d’arte dimenticate.
Graditissimo, perciò, riesce, quando ciò accada, il se-
gnalarle.

Or non è molto, dal suo castello di Palagio a Cam-
poli il conte Ugo Goretti-Miniati traeva in Firenze
questo bel bassorilievo quattrocentesco, rappresen-
tante la Madonna col Bambino. Ma non ve lo traeva
intero. Il grazioso tabernacolo in legno dorato (due
colonnine a tutto tondo, per metà scannellate, rette
da mensole e sorreggenti un timpano), in cui, certo
fin dalla sua origine, fu racchiuso, era stato .qualche
anno prima distrutto. Il marmo, però, è conservatis-
simo. La Vergine, nell’aureola, nell’olio del manto
e della manica, in una grande stella sul braccio, ha
ancora la preparazione rossastra della doratura ; sul
fondo è ancora quasi tutta l’azzurra pasta vetrosa. Ciò
fa supporre che l’opera nacque forse nello stesso Ca-
stello di Campoli.

Al primo contemplarla la memoria rievoca un gran
nome: Donatello. Lo rievoca in quei tratti, robusti
nelle forme del corpo, agili nei panni, in quel tipo di
Vergine un po’ generico e serio che fa contrasto al
tipo del Bambino, realistico e vivace.

E la prima impressione riceve ampia conferma dal-
l’analisi che, si può dire, non fa restare senza riscontro
i più piccoli particolari.

Il nastro che stringe tre volte i capelli della Ver-
gine lo troviamo a quel modo in putti del pulpito del
Duomo di Prato 1 ; la manica attaccata al polso, con
l’orlo a lettere cufiche, in una del Kensington Mu-
seum2 3; i tagli un po’ duri alle nocche delle dita di una
mano in una terracotta dello stesso Museo5; mentre
in un’altra del Museo di Berlino4 il lieve sostenere
del peso della mano sinistra.

Così per il Bambino.

La sua testina è atteggiata come quella di un putto
della Cantoria del Duomo di Firenze s, al quale è pure

1 Bode, Denkviàler der Renaissance Sculptur in Italien, Tav. 76.

2 Ivi T. 69.

3 T. 98.

4 T. 70.

5 T. 84.
 
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