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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 8.1905

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Fasc. 2
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https://doi.org/10.11588/diglit.24150#0188

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BIBLIOGRAFIA

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ci si presenta nel facsimile la giovane donna, rappre-
sentata nel quadro della Galleria di Cracovia, si avreb-
bero molti più argomenti per respingere che per accet-
tare la sentenza del critico.

Preferiamo seguirlo pertanto nell’esame particola-
reggiato ch’egli fa di un’opera sublime qual’è il Cena-
colo. Il quale tuttavia lo induce ad un altro suggeri-
mento, tutto suo personale, nel quale c’è da temere
non abbia a trovare chi lo segua, ed è quello, che il
disegno della testa del Cristo della Pinacoteca di Brera
si abbia a ritenere quale opera non già del maestro,
ma del suo discepolo Cesare da Sesto.

Che lo studio e il retto giudizio in materia di disegni
sia fra i più ardui che si possono dare, nessuno vi è
che non ne convenga; come poi in un lavoro incerto
e perdi più ritoccato, qual’è quello della testa di Brera
si sia mai potuto riscontrare la mano di un noto artista
piuttosto che quella di un altro è cosa che lo scrivente
confessa non avere mai saputo intendere, come non
ha saputo intendere perchè i direttori che da anni si
sono succeduti in quella Pinacoteca abbiano potuto
tollerare che quel foglio , circondato da tanta au-
reola di celebrità, ma manifestamente avariato dal
tempo, rimanga tuttora racchiuso entro una cornice
affatto moderna, lavorata ad intaglio di puerile meschi-
nità, che potrebbe servire benissimo a compimento di
qualche quadretto miniato di epoca recente, ma non
mai ad un lavoro inteso, o bene o male, a richiamarci
un concetto tanto serio e tanto meditato dal grande
maestro toscano.

Trascorrendo sopra altre cose, generalmente abba-
stanza conosciute, vuoisi rendere il debito merito al
dott. Carotti di essersi preoccupato della determina-
zione della vera effigie di Leonardo, seguendo un avver-
timento dato già dal defunto critico Giov. Morelli e
contrapponendo quindi sopra due facciate del suo libro
i facsimili di due disegni, rappresentanti l’uno l’ef-
figie presunta l’altra quella da ritenersi perla vera sua
immagine. La prima è quella contenuta in un foglio
della raccolta di disegni conservata nella Biblioteca di
S. M. il Re, a Torino. È una testa di vecchio, quasi
decrepito, fornita di barba e di capelli cadenti sulle
spalle, generalmente considerata pel suo autoritratto.
Che sia tracciata dalla mano del maestro è cosa da
non porsi in dubbio, ma che ci porga le sue fattezze
non si può ammettere seriamente ove si consideri che
egli morì di 67 anni nel 1519 e che il rappresentato
apparisce assai più vecchio, cioè un ottuagenario, senza
meno.

L’altro (della raccolta di Windsor), più debole come
disegno, di una dolcezza quasi luinesca, ci rende un
nobile profilo sotto il quale in nitido carattere lapidario
sta scritto: LEONARDO VINCI. Poiché le fattezze
s’accordano sufficientemente con quelle del ritratto di
lui, a colori, conservato agli Uffizi (per quanto ese-
guito forse un secolo dopo la sua morte) c’è da pre-

star fede all’iscrizione surriferita, intesa ad identificare
nel detto profilo l’immagine del magnifico uomo.

Fra le sculture, da taluno attribuite a Leonardo, dà
riprodotta la celebrata testa di cera del Museo di Lille:
non già per confermargliela, ma per asserire senza esi-
tazione, che la medesima, al pari del panneggiamento
che ne ricopre le spalle non può essere che un’opera
della fine del xvn o del principio del xvm secolo.

Quando si ponga mente a siffatto giudizio non si
potrà fare a meno dal riconoscere, che nessun’altra
opera d’arte ha dato luogo ad una più grande diver-
genza di opinioni. Interrogando il catalogo della Gal-
leria di Lille del 1856 infatti, noi troviamo ch’esso, dopo
essersi studiato di dimostrare che talune immagini di
cera hanno saputo conservarsi fino dalla più remota
antichità, riscontra nella testa di fanciulla i caratteri
di una perfezione antica cosi manifesti, da dovere con-
chiudere, che sia da assegnare non già all’arte del Rina-
scimento, ma a quella dei romani antichi.

L’opinione media infine è quella che vi ravvisa pro-
prio una grazia ed una avvenenza da far pensare a
nuU’altro che all’età d’oro della rinascenza, sia che
si voglia propendere allo stile raffaellesco, come l’in-
tende taluno, sia al leonardesco come credono altri.

In Bramante, potrebbesi dire, si rispecchiano ad un
tempo le qualità di Leonardo e quelle di Raffaello.
Spirito indagatore e versatile alla sua volta, egli è pa-
rente del divino Urbinate più per comune divinazione
di sublimi armonie, che per affinità di sangue.

Gli è con soddisfazione che si segue quanto espone
il dott. Carotti intorno alle sue opere di architettura,
condotte dapprima in Lombardia, poscia principal-
mente a Roma. Leggendo queste pagine ci sembre-
rebbe lecito conchiudere rispetto al loro autore, che
il dominio dell’architettura sia quello nel quale egli si
sente vie meglio a casa sua. Egli si compiace di addi-
tare e di analizzare quanto di più caratteristico gli è
apparso in Lombardia come opera del maestro, da
distinguersi dalle imitazioni di seguaci e di scolari, illu-
strando spesso il detto con figure ricavate da fotografie
da lui stesso eseguite davanti ai monumenti. Fra questi
è atto a risvegliare un interesse di attualità quello del
torrione d’ingresso al Castello di Vigevano, per la sua
somiglianza con la torre Umberto al Castello di Milano,
recentemente compiuta da Luca Beltrami, ad interpre-
tazione di quella anticamente eretta dal Filarete e suc-
cessivamente distrutta dallo scoppio delle polveri nel-
l’anno 1521.

Nè trascura di passare in esame le sue opere di
pittura, le quali, a quanto si sa, appartengono pre-
valentemente al primo periodo della sua vita e sono
quasi tutte opere di carattere decorativo. L’unico di-
pinto su legno che di lui si conosca è quello della
mezza figura di nostro Signore legato alla colonna,
tuttora conservato nella Chiesa abbaziale di Chiaravalle
presso Milano. É opera d’impronta notevole, non sol-
 
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