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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 8.1905

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Fasc. 3
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https://doi.org/10.11588/diglit.24150#0278

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BIBLIOGRAFIA

229

Leone V l’armeno (813-820) aveva mandato al doge
Giustiniano Partecipazio « le cose bisognevoli per
quest’opera et maestri acciocché si finisse presto », poco
dopo dimentica le parole del diploma e dice che « l’im-
peratore mandò al doge uomini et maestri eccellenti
nell’architettura».1 Il Cattaneo, senza badare al primo,
riprodusse il secondo brano tal quale, perchè serviva
alla sua tesi, e d’allora si ripete. Ma dalle parole dei
diploma si comprende che non si tratta già di maestri
architetti, poiché uno sarebbe stato sufficiente, avendo
la fabbrica dimensioni modeste, ma bensì di nume-
rosi muratori « acciò si finisse presto ». È sicuro invece
l’intervento dei Bizantini come decoratori mosaicisti
e come scultori, sia nel pavimento di Grado, che nei
capitelli di varie basiliche, di marmo e d’opera greca
senza fallo. Ma in quanto all’architettura la pianta,
nella maggioranza delle chiese di cui avanza la traccia
in muratura, o il ricordo storico, fu basilicale latina.

Nuovo in gran parte riuscì il capitolo sulle vetrerie
di Murano, sui vetri circolari da finestre, sugli specchi,
sulle conterie, sulla coppa preziosa del Museo civico
di Venezia, attribuita ad Angelo Berroviero, lavoro
superbo in vetro azzurro, coperto di smalti dipinti e
di sottili fregi d’oro.

I più antichi vasi veneziani in terra cotta sentono
l’imitazione romana; si rinviene l’araba e la moresca
nei lavori dell’età di mezzo, cui segue nel secolo xv,
l’impulso, e forse l’opera diretta di operai toscani che
importano nel veneto il modo d’invetriare le plastiche,
come ad esempio il cielo d’una cappella nella chiesa
di San Giobbe, compiuto fra il 1450 e il 1470. La por-
cellana, quantunque Marco Polo l’avesse fatta cono-
scere ai veneti, non ebbe fabbriche che intorno al 1470.
L’Oriente e le sue industrie armoniose avvivarono in
Venezia l’amore alle colorazioni intense e profonde
con le porcellane, con gli smalti, con le stoffe e i tap-
peti smaglianti, coi tessuti d’oro e d’argento, coi panni
ricamati di varie storie colorate, infine con i superbi
damaschi rossi che Venezia dal xn secolo in avanti
imitò perfettamente.

L’oreficeria veneziana sembra che traesse i più an-
tichi esempi dall’arte bizantina e con tanto frutto che
prima del 1152 erano celebri in Francia i lavori ope-
rati « al modo veneziano ». I Veneti portarono dallo
Oriente i più ricchi oggetti di gioielleria bizantina, e
la quantità crebbe senza misura dopo la caduta di
Costantinopoli. Però qualche esemplare fra i più fa-
mosi fu importato molto prima della presa di Bisanzio
fatta dai collegati, basti per tutti la ricchissima pala
d’oro, tanto rimaneggiata. Con tali esemplari si venne
perfezionando rapidamente l’oreficeria locale, essa verso
la fine del xii secolo sapeva già incidere a bulino, di-
pingere a smalto, fondere paci in bronzo e dorarle,

1 Sansovino, Venetia nobilissima. Venetia, MDLXXXI, pa-
gine 26-27^.

modellare con grazia ostensori e custodie di reliquie,
disegnare monili ricchissimi di pietre preziose, e span-
dere così alto il nome dei suoi prodotti, da farli de-
siderare ed accogliere con festa nelle corti più elette
d’Europa.

Venezia non si limita nell’industria a produrre pochi
oggetti principeschi, ma crea una moltitudine di cose
belle e di costo mediocre ad uso delle case e dei tempi.
Durante queste esercitazioni feconde, lo stile che nei
vassoi ageminati in argento, nei candellieri e nei tu-
riboli arabescati dimostrava di aver subito profonda-
mente l’impulso della civiltà araba e saracena si viene
modificando secondo le nuove norme dell’arte gotica.
In quel tempo Venezia ospita cesellatori e fusori in
bronzo, fabbri artisti che intarsiano il ferro con trame
sottili d’oro e d’argento; scultori in legno, intagliatori
« di pale ed ancone » che sapevano scolpire belle cor-
nici, soffitti originali, cori meravigliosi per ricchezza
e bontà d’esecuzione, cose tutte influenzate qua e là
d’arte francese o tedesca. I comuni intagli in avorio
continuavano invece ad essere impressionati dall’arte
di Bisanzio, solo più tardi ebbero intarsi in nero e ac-
colsero l’arte fiorentina in tal genere di lavori per
opera di Baldassare di Sitnone d’Aliotto.

Un trionfo di tutta l’arte industriale veneziana si
ebbe nel 1268 quando per l’elezione a doge di Lorenzo
Tiepolo, le Consorterie delle arti andarono in sontuosa
processione a salutare il nuovo principe, mentre nelle
logge e nelle sale del severo Palazzo ducale ogni arte
sottoponeva i migliori prodotti al giudizio del popolo,
dando dice il M. « uno dei più antichi e notevoli esempi
di esposizione d’arte industriale».

* * *

Per le belle arti il M. segue lo stesso metodo docu-
mentale. Presi in esame brevemente gli avanzi archi
tettonici del vi, vii e vili secolo, influenzati dall’arte
bizantina; dato un cenno dei prodotti più tardi italo-
bizantini, analizza con sicurezza gli avanzi dell’epoca
romanica e prova con dei frammenti decorativi e di
architettura come non possa resistere all’esame la vec-
chia teorica, che voleva negata all’arte romanza ogni
azione in Venezia. Ricorda il M. il vitello e i due
grifi, serranti fra le ugne una figura umana, sculture
collocate in un finestrone di San Marco, i due leoni
nel basamento del campanile di San Polo e qualche
altro cimelio, dimostrando così che accanto ai maestri
greci, lavoravano gli artefici lombardi.

Le nitide riproduzioni confermano la tesi dello scrit-
tore. Segue un rapido esame dello stile ogivale stu-
diato nelle più remote origini francesi di archi acuti
e di volte a crociera, per giungere a mano a mano alle
forme gloriose dell’ogivale veneziano, nella chiesa dei
Frari, dei Santi Giovanni e Paolo, e anche della Ba-
silica Marciana, dove peraltro la decorazione architet-
tonica del secolo xiv assume carattere toscano, deri-
 
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