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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 30.1927

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Venturi, Lionello: Il gusto e l'arte - i primitivi e i classici
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https://doi.org/10.11588/diglit.55192#0119

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LIONELLO VENTURI

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Dopo aver precisato che intendevo « storicamente », ho scritto: « La presenza di Dio,
dell’universalità, della realtà spirituale assoluta, è stata sentita dai trecentisti in elementi
in cui i « classici » e i « realisti » non l’hanno sentita. E non l’hanno sentita, non perchè siano
stati più sapienti, ma perchè hanno avuto meno afflato mistico ».
A questa affermazione il Croce obietta: « A fil di logica, concepito il processo detto
mistico come l’essenziale dell’arte, coloro che hanno avuto minore afflato mistico sarebbero
da dire artisti più o meno deboli, più o meno spurii. Ma tale non può essere, nel luogo so-
pracitato, il giudizio del Venturi. Conviene, dunque, tener ben distinto il momento mistico,
universale e necessario in ogni vera opera d’arte, dal contenuto religioso che esso ebbe,
poniamo, nel trecento. Ciò che manca o è diverso negli altri grandi artisti di altre epoche
è appunto questo contenuto religioso, e non l’afflato mistico (= poetico). Per ribadire il
mio pensiero con un esempio estremo, io, diversamente dal De Sanctis, non credo che,
artisticamente parlando, in Dante ci sia l’afflato mistico e in Ariosto no, o che in Dante
sia maggiore e in Ariosto minore, laddove è semplicemente diverso ».
Su questo punto un dissenso tra Croce e me è indubbio, non di carattere estetico, ma
di carattere storico, Convengo nel distinguere teoricamente il momento mistico universale
dal contenuto religioso di un periodo storico, ma non credo che il gusto del trecento
si distingua dal gusto del cinquecento soltanto per il contenuto religioso, anzi credo si
distingua soprattutto per la purezza e l’immediatezza del momento mistico universale.
Giotto e Raffaello sono due artisti perfetti, e quindi come artisti sono imparagonabili, e
quindi ambedue hanno raggiunto il momento mistico universale. Se tuttavia facciamo la
storia di Giotto e di Raffaello, dobbiamo pur rilevare le difficoltà di ogni genere incon-
trate da Raffaello, come sarebbero il sentimentalismo, il sensualismo, il naturalismo, l’imi-
tazione dell’antico, la prospettiva, l’anatomia, il leonardismo, il michelangiolismo. Il genio
di Raffaello seppe superare ogni ostacolo e vinse; ma lo storico dovrà pur tener conto dello
sforzo compiuto per raggiungere la sua « facilità naturale », e dovrà indicare i casi in cui
10 sforzo fu superiore persino alle sue forze. Giotto invece trovò innanzi a sè tutte le faci-
litazioni a raggiungere il suo stile, e quasi nessun ostacolo, per quello almeno che oggi si
può capire. Se tale determinazione storica è giusta, quale la conseguenza? Giotto e Raf-
faello, artisti perfetti: e sta bene. Ma il gusto di Raffaello, inferiore al gusto di Giotto.
E poiché il Croce cita Dante e l’Ariosto, io mi chiedo se il fenomeno non sia parallelo.
11 De Sanctis credeva che in Dante ci fosse l’afflato mistico e nell’Ariosto no; il Croce ha
dimostrato che c’è nell’uno e nell’altro: dunque poeti perfetti ambedue. Ma quando io
leggo che il contenuto della Divina Commedia è « il compedio di un millennio dello spirito
umano », in me risorge il ricordo di una grandezza, di una passione, di una potenza di
vita, ancora attuale perchè eterna, che mi lascia estatico, stupito. Se io invece leggo che
il contenuto della poesia ariostesca è 1’ « armonia cosmica », naturalmente m’interesso,
per quell’interesse storico che suscitano le idee e le credenze del rinascimento, ma sento
quel contenuto lontano, staccato da me. Resta forse nel giudizio del De Sanctis una
esigenza che la correzione del Croce non ha completamente esaurita, e cioè che la vita,
le idee, la fede di Dante gli abbiano facilitato il momento mistico universale, mentre lo
Ariosto sia stato ostacolato dalla « vita di corte » e dagli « studi eleganti ». Ciò che modifica,
non proprio il giudizio estetico, ma certo la rappresentazione storica.
I giudizi storici concreti dati nella seconda parte del mio libro hanno suscitato rea-
zioni, non tanto in difesa dell’arte italiana del cinquecento o dell’olandese del seicento,
quanto della scultura greca, anche da parte di chi generalmente si occupa di arte medioevale
e moderna. Se non mi sono mostrato entusiasta di alcuni quadri di Raffaello, a nessuno
è venuto in mente ch’io intenda dir male di tutte le opere di Raffaello. Ma perchè io ho
 
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