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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 30.1927

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Bollettino bibliografico
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BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

VI. - Rinascimento italiano
b) Cinquecento
Emilio Ollivier, Michelangelo. Introduzione e an-
notazioni di Corrado Barbagallo. Milano, Casa
editrice Ceschina, 1927, pagine vm-337, con 20 ta-
vole in 8 grande.
L’introduzione, che Corrado Barbagallo ha premesso alla
nuova edizione del libro dell’Ollivier su Michelangelo, pro-
spetta in poche pagine la figura dello scrittore, e special-
mente il ministro di Napoleone III.
Nella prefazione al lavoro, l’antico autore giustifica la
gran parte che la storia e la politica hanno nella sua opera,
dicendo che specialmente in un’anima come quella del
Buonarroti, la vita religiosa e politica dei suoi tempi era
strettamente legata alla ispirazione artistica:
« I loro capolavori, egli dice riferendosi agli artisti in ge-
nere, diventano intelligibili e parlanti, solo se, avendoli
studiati come uomini di mestiere, e poi contemplati come
poeti, noi li riponiamo in mezzo alle circostanze che li hanno
fatti nascere, e se penetriamo nella vita intellettuale e mo-
rale, pubblica e privata, di colui che li ha creati ».
Ma per penetrare nella vita « intellettuale e morale, pub-
blica e privata » di Michelangelo, 1’0. dimentica di studiare
l’artista; e, dopo aver dedicato pagine e pagine alla ricerca
accurata, a volte minuziosa, della vita del grande e dei suoi
contemporanei, egli si limita ad un semplice accenno del-
l’opera, quando non dimentica addirittura di nominarla.
Esclude così dal suo studio, che si è veramente imbiancato
nel tempo, i documenti primi e vivi.
Nel 1° capitolo, ad esempio, che dovrebbe comprendere la
trattazione di tutte le opere di Michelangelo fino alla volta
della Sistina, tralascia la Centauromachia, eia Madonna della
scala, l’unica sua opera in bassorilievo citata anche dal Va-
sari, ed accenna appena al S. Matteo (la fotografia del quale,
in questo volume, è stata sostituita dal Barbagallo con
quella di un prigione dell’Accademia di Firenze); così il
Barbagallo, ignaro come il suo Autore dell’arte e della sua
storia, a illustrazione del Cupido dormiente riproduce dal
gesso un Cupido che non dorme, e non parla affatto della
cooperazione con Nicolò dell’Arca di S. Domenico (di cui
l’editore pone due fotografie rappresentanti il S. Petronio e.
l’angelo portacandelabro di Michelangelo).
Nel II0 capitolo, dedicato all’esame delle pitture della
volta della Sistina, l’A. descrive particolarmente ogni quadro
con dotti riferimenti biblici. In questa accurata analisi,
però non persuade l’arbitraria interpretazione delle rappre-
sentazioni dei triangoli e delle lunette, nel senso che vi
sarèbbero rappresentati i vari momenti della vita comune

degli uomini, in cui, per dirla con le sue parole « sono sempre
l’uomo, la donna, il bambino, colti nei casi ordinari della
loro esistenza quotidiana: è sempre la leggenda degli umili,
limitata nei triangoli variata ed ingrandita nei pennacchi ».
Invece da M. stesso, che iscrive in ogni lunetta un cartello
coi nomi delle famiglie degli antenati di Cristo, sappiamo
che egli ha voluto narrare in questi scomparti laterali le sto-
rie dell’albero di Maria, in armonia alle altre rappresenta-
zioni del soffitto, ed a quella della parete di fondo, che for-
mano il ciclo grandioso e terribile entro cui nasce e si con-
clude la storia dolorosa dell’umanità sofferente.
Come per la interpretazione dei triangoli e delle lunette
della Sistina, così anche per la valutazione dell’anima del
Buonarroti, l’autore si stacca dall’opinione comune, e vor-
rebbe raffigurarsi un Michelangelo ora triste ora gaio, ora
dolorante, ora pensieroso, che ci si rivelerebbe attraverso le
figure dei nudi efèbi, circondanti le storie della creazione,
in atteggiamenti più o meno dolorosi, ma non mai lieti.
Ancora un’altra osservazione: l’Ollivier, che si dà tanta
pena di studiare l’ambiente in cui germogliò e fiorì l’arte
di Michelangelo, non sentì forse quanto più opportuno ed
interessante dell’ambiente esteriore sia, per la valutazione
artistica, la ricerca dell’intimo travaglio dell’artista, che ci
si rivela attraverso lo studio dei successivi progetti per
l’esecuzione dell’opera. Egli non parla mai di alcun disegno,
non solo di quelli per la volta della Sistina e per le altre
opere di pittura e scultura, alcune delle quali ci sono note
solo attraverso questi schizzi, ma neppure di quello per il
monumento a Giulio II, di cui il progetto primitivo, vera-
mente grandioso, è stato oggetto di ammirazione fino dai
contemporanei dell’artista.
Alla cappella Paolina, l’ultima grandiosa opera' pittorica
in cui « l’arte di Michelangelo vecchio e amareggiato, rivela
la sua infrangibile potenza » (A. Venturi), l’autore non de-
dica, in mezzo ad un lungo capitolo su « la fine delle ami-
cizie », che poche righe di acerba critica, che non tutti
troveranno giustificata: « ... La cappella Paolina, senza
darci nulla di veramente importante, ci ha fatto perdere
tanti capolavori, quanti ce ne hanno fatti perdere le cave
di Pietrasanta e di Carrara ».
Potrei ancora citare altri esempi di quest’opera, che pur
lodata entusiasticamente dal Barbagallo, manca, od è so-
stituita da un’interpretazione tutta suggestiva e passionale.
Questa esposizione dell’Ollivier è osservata dal Barba-
gallo stesso che, nella sua introduzione, ammette che l’au-
tore ha voluto dipingere se stesso e le sue dolorose vicende
attraverso la descrizione delle peripezie di Michelangelo. Ora
se questo è il pregio che ha commosso l’editore, è anche,
per noi uno dei difetti principali del libro, perchè, da tale
desiderio, forse inconscio, la personalità di Michelangelo
 
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