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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 30.1927

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Venturi, Adolfo: Una ignota opera di Colantonio a Sorrento
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https://doi.org/10.11588/diglit.55192#0266

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UNA IGNOTA OPERA DI COLANTONIO
A SORRENTO

Al napoletano Colantonio, citato dal Summonte, quale educatore di Antonello
noi attribuimmo 1 il più insigne quadro che rappresenti a Napoli il Quattrocento locale:
la pala della chiesa di S. Pietro Martire, già attribuita dal Bredius a Simone Marmion,
e, per la recente scoperta di una lettera del Summonte, a Colantonio stesso. Il quadro,
che nel mezzo presenta l’immagine di San Vincenzo incorniciata da una serie di tavo-
lette con storie della sua vita, è pittura di artista educato, come molti suoi conterranei,
all’arte fiamminga, ma così italiano nella costruzione da preludere alle opere prime di
Antonello da Messina che più di tutti in Italia intende la forma quale volume geometrico.
Entro la sua nicchia dal catino a conchiglia con arco a pieno centro secondo l’uso
toscano, ma con lignee nervature, ovunque ripetute dalla catalana Napoli del secolo xv,
s’innalza il Santo, reggendo sopra il palmo della mano un libro squadernato, e tendendo
l’altra a indicare il cielo. La forma statuaria, scalpellata nel legno da un artefice vigo-
roso e crudo, gira lenta intorno a se, sorretta dal volume delle pieghe, cilindri spianati
dalla prospettiva. Così gira sul suo perno la statua del San Zosimo di Antonello, nella
cattedrale di Siracusa, scavata come in bosso rossigno. L’equilibrio del gesto è degno
di un Piero della Francesca; solo la secca testa di uccello, con labbra sottili e aride, e
con acuti occhietti, ricorda l’educazione fiamminga del pittore. Degne della monumen-
tale statua, le storiette laterali.
In una gola di ripide montagne, tra muraglie di roccia, il Santo predica: l’ascolta
una folla che più della figura centrale dimostra l’educazione fiamminga del pittore,
nei tipi riprodotti con studio di fedeltà fotografica dal vero e nei bizzarri costumi: anche
i manti delle donne, a pieghe angolari, ricordano l’arte del Nord, ma s’allargano a
formar base ampia alle figure, e sono costruite con solidità architettonica ignota alla
pittura fiamminga da cui derivano. In un altro scomparto, il pittore chiude nell’ombra
di un chiostro, complesso ordine architettonico che dimostra una volta più la sapienza
costruttiva del maestro napoletano, due immagini: il Santo inginocchiato davanti al
Redentore. Solenne in quell’ombra di cripta la figura del Cristo drappeggiata pesante-
mente, immota nella sua posa verticale, così da completar l’effetto della fuga di pilastri
traverso l’arco.
Nella scena dei Funebri, racchiusa da muraglie nude che ci lascian godere l’inte-
grità dei loro volumi, si ripetono contrasti pittoreschi d’ombra: una finestra a inferriata
nel buio di una cella, una porta spalancata sopra un andito chiuso. La luce cade grigia
e monotona su quei muri intatti: le ombre degli oggetti, parche, vi si disegnano con
estremo nitore. Due gruppi di sacerdoti e di monaci stanno ai capi del letto funebre, e
le note di nero e di bianco gelido •— il lenzuolo e la salma — si alternano per tutto
il campo della scena: solo una ricchezza fantastica di bagliori accende l’ombra notturna
di un piviale di vescovo. I lineamenti dei monaci sono grossi, caricaturali, alla maniera
fiamminga, ma la semplicità della inquadratura architettonica e l’equilibrio sovrano delle
pose dimostrano come a Napoli fossero tendenze portate poi a maggior perfezione dal
siciliano Antonello.

1 V. A. Venturi, Storia dell’Arte italiana, voi. VII, parte 4a.
 
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