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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 30.1927

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Molajoli, Bruno: Ignorati affreschi di Antonio da Fabriano
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https://doi.org/10.11588/diglit.55192#0309

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IGNORATI AFFRESCHI
DI ANTONIO DA FABRIANO

Nei locali dell’ex convento di S. Domenico, a Fabriano, sono conservati due ampi
affreschi quattrocenteschi, che quasi tutti gli studiosi dell’arte fabrianese hanno fino ad
oggi ignorato o, almeno, trascurato. Nella sala inferiore, già refettorio del convento, la
parete di fondo è quasi interamente occupata (m. 8,16 X 3 circa) dal primo e, certo, più
interessante dipinto, raffigurante il Cristo crocifisso, tra due Santi e due gruppi di frati
domenicani (figg. i e 2); e ai lati, entro finte nicchie, S. Lucia e S. Caterina da Siena. Le
inadeguate riproduzioni qui pubblicate non possono darne che una idea complessiva e
molto sommaria. L’altro affresco, insieme con vari frammenti rispettati qua e là dalle
successive imbiancature in modo da lasciar supporre che un’opportuna ricerca abbia a
metterne in luce anche altri, è nella sala superiore, già adibita a studio e biblioteca del
convento: come conferma il vedervi raffigurati, entro fìnti spartimenti architettonici,
Cristo che invita alla predicazione del Vangelo e alcuni santi, dotti e pontefici dell’ordine
domenicano, indicati da vistose iscrizioni esplicative, quasi per un richiamo mnemonico
ai monaci che vi levassero lo sguardo nelle soste dello studio e delle meditazioni.
La trepida curiosità che ci spinge a metter gli occhi dovunque sorrida, pur tenue,
un riflesso dell’arte, ha voluto serbarmi questa volta un’inattesa e gradevole ricompensa:
perchè, trovatomi casualmente, e per tutt’altre ragioni che di indagini artistiche, dinanzi
a questi affreschi, ho avuto la sorpresa di riconoscervi a tutta prima, e il piacere di trovar
poi confermati da più calmi successivi confronti, i caratteri dell’arte di un pittore ben
noto: ma non forse tanto, nè a tanti, quanto meriterebbe: voglio dire di Antonio da Fa-
briano, il più personale e vigoroso pittore che seguì in patria alla meteorica apparizione
di Gentile e, senza lasciarsi prendere dagli esempi del maestro, attinse, invece, più volen-
tieri alle nuove correnti toscane e venete, conchiudendo così con spirito quattrocentesco
quella tradizione artistica locale che nel Trecento s’era iniziata con Allegretto e nel suo
momento più felice aveva espresso l’arte splendida di Gentile.
La figura di Antonio da Fabriano non è ancora libera da incertezze: a cominciar
da quelle cronologiche, del resto comuni a quasi tutti gli artisti, per finire quelle sórte
intorno ai caratteri stilistici; pei quali, per qualche tempo, si è pensato anche ad apporti
nordici, che parevano rivelarsi nelle opera più antiche, specialmente nel S. Girolamo della
collezione Fornari, del 1451. Ma Lionello Venturi, che è stato il primo ed è ancora il solo
studioso che si sia interessato un po’ diffusamente di Antonio da Fabriano, ha spostato
il nodo della questione, che minacciava di cader nell’enigmatico, verso una soluzione
più accessibile ed aperta, dimostrando che a spiegar quei caratteri del pittore fabrianese
sono sufficienti gli esempi che gli poterono giungere dalla Toscana.1 Non è difficile con-
sentire con l’illustre critico: perchè, anche senza più pensare a un’azione diretta e per-
sonale di Piero della Francesca — il quale, oggi par certo, non andò mai a Loreto come
voleva il Vasari — è a tutti evidente e pacifico che, dopo il periodo gentilesco, correnti
toscane ripreso il loro tradizionale irraggiamento verso le Marche, così che anche l’arte
del pittore di Borgo San Sepolcro, già prima della metà del sec. xv, potè avervi una non

1 L. Venturi, A traverso le Marche, in L’Arte, 1915, pag. 172 e segg.
 
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