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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 30.1927

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Venturi, Lionello: Un' opera inedita di Andrea Mantegna
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https://doi.org/10.11588/diglit.55192#0073

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UN’OPERA INEDITA DI ANDREA MANTEGNA

Fra le più importanti « scoperte » del mercato artistico internazionale negli ultimi
anni va annoverato il quadro qui riprodotto, che oggi appartiene al sig. Otto H. Kahn
di New York, e che mi sembra illumini con una luce tutta particolare l’origine della
personalità del Mantegna.
La perdita della pala di S. Sofia e delle altre opere anteriori agli affreschi degli Ere-
mitani ha reso appunto difficile comprendere l’arte giovanile di lui; e però gli affreschi
sono sembrati miracoli. Quando poi dall’NWa^ di S. Giacomo al supplizio l’osservatore
è passato al polittico di S. Giustina, ora a Brera, dipinto qualche anno di poi, è rimasto
affatto disorientato, come se, dopo aver raggiunto una monumentalità cinquecentesca, e
una forte drammaticità, il Mantegna fosse tornato verso una minuzia gotica e un deli-
cato sospiro. Nè, per intendere questo ritorno, basta richiamarsi alla consuetudine chiesa-
stica del polittico, presentatore d’immagini da adorare anzi che rappresentante gruppi
umani in azione, e nemmeno all’uso probabilmente imposto del fondo d’oro. La tecnica
rapida dell’affresco, lo spazio grandioso da riempire e da costrurre sia in larghezza sia in
profondità, la ricostruzione di una scena romana, con archi romani, con soldati romani,
tutto ciò divenne pel giovane genio impulso di grandezza, afflato di romanità, divenne
ora di gloria più alta forse di tutte le altre ore gloriose della sua lunga carriera. Pure di
quella gloria una foglia si perdeva, proprio per la sete di grandezza e per la esasperazione
di forma classica: il colore cioè, che aveva formato la delizia della tradizione gotica, dive-
niva acido e corrosivo per accentuare la forma. Sempre più, inoltrandosi negli anni, il
Mantegna perdette il gusto del colore: e quando al Louvre ci troviamo di fronte alle alle-
gorie dipinte per Isabella d’Este, sentiamo che la progressiva indifferenza verso i valori
cromatici aveva un influsso certamente non favorevole alla realizzazione complessiva del-
l’opera d’arte. Onde il ricordo corre a Giovanni Bellini, che, ossequioso e modesto di fronte
alla perfezione disegnatoria del cognato, seppe attingere dalla materia stessa della pit-
tura una sensibilità morale, universale ed eterna, superiore a quella che il rigore intellet-
tuale permise al Mantegna.
Il S. Girolamo qui riprodotto ha una strana malia di colore, che dipende certo dalla
vivacità, tipo smalto, di ogni singola tinta, ma anche dalla vibrazione del chiaroscuro
in ogni tinta particolare. Tre piante, insieme col manto azzurro, concorrono a incorni-
ciare il volto e il corpo del S. Girolamo: un albero di limone, caro al Mantegna che lo ha
ripetuto più volte sia a Padova sia a Mantova, un nocciuolo e un ramo di quercia: sono
tre verdi diversi, che vanno dal grigio all’azzurro, con raffinata graduazione. Altrettanto
si dica delle parti chiare del colore: il rosa intenso e spiegato della roccia, il rosa che diviene
argentino nelle carni, e in fondo la chiarità celeste di Roma, appena soffusa di rosa, sono
graduazioni dolcissime. I tocchi brevi di rosso, nel cappello cardinalizio e nel libro sotto
la clessidra, sono gemme incastonate. E l’argenteo della barba e dei capelli è tutto un’ac-
centuazione di sensibilità. Il cielo verdazzurro e le nuvolette chiare ripetono nello sfondo
lontano i contrasti cromatici del primo piano: contrasti che sono accordi complementari
basati sul verde e sul rosa, ricchi per le sfumature e nitidi per la materia preziosa.
L’immagine del Santo risente del colorito vibrante che l’avvolge. Pensate al S. Giorgio
della galleria di Venezia, alla sua perfezione formale, alla sua indifferenza espressiva;
splendido ragazzo che fa l’eroe, sereno nell’esposizione di sè stesso. E pensate ai vari S. Se-
bastiano che il Mantegna ha dipinto, tragici, tormentati, formidabili di forza malgrado le
 
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