Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 30.1927

DOI Heft:
Bollettino bibliografico
DOI Seite / Zitierlink: 
https://doi.org/10.11588/diglit.55192#0279

DWork-Logo
Überblick
loading ...
Faksimile
0.5
1 cm
facsimile
Vollansicht
OCR-Volltext
BOLLETTINO BIBLIOGRAFICO

I. - Teorie sull’arte, sulla storia e critica arti-
stica, sulla pedagogia artistica. Ricerche tecni-
che. Storie generali, lessici artistici.
M. Marangoni, Come si guarda un quadro, Saggio
di educazione del gusto sui capolavori degli
« Uffizi ». Firenze, Vallecchi, 1927, pp. 102 e
40 tavole. (2a ediz. riveduta e ampliata). L. io.
L’intenzione dell’autore di educare il gusto del pub-
blico e di suscitare in esso un maggior amore per le arti fi-
gurative e un più vivo desiderio di conoscere le opere dei
nostri artisti è senza dubbio lodevolissima.
Certo la grande maggioranza dei visitatori delle collezioni
d’arte e dei monumenti è incapace di apprezzare criticamente
le opere innanzi a cui si sofferma, ed è del resto naturale che
sia così. Comprendere un artista nel suo profondo signifi-
cato è cosa difficilissima anche a chi abbia con lunghe e pa-
zienti ricerche tentato di strappare il segreto dell’emozione
estetica particolare suscitata dall’artista stesso; e sarebbe
follia pretendere che a tanto possa giungere un visitatore
impreparato. Quello che si può fare però è raddrizzare molte
idee storte, toglier di mezzo tanti preconcetti tradizionali, che
impediscono anche alle persone meglio dotate di godere del-
l’opera d’arte da un giusto punto di vista. Bisognerebbe
in somma abituare il pubblico a guardare l’opera d’arte sotto
l’aspetto formale, ossia a cercare in essa gli elementi figura-
tivi, la cui composizione, se riuscita, è la sola ragion d’essere
dell’opera stessa. E ciò più che con pesanti disquisizioni teo-
riche, che produrrebbero un effetto opposto a quello che si
vuole raggiungere, si potrebbe ottenere con l’applicazione
pratica dei retti principi critici.
Parlando di Cimabue e di Giotto, il Marangoni si lascia
sfuggire l’occasione di indicare al visitatore quali sono i
caratteri peculiari della loro arte e insieme dell’arte fiorentina.
Trattando delV A nnunziazione di Simone Martini non ci par
sufficiente, rivolgendosi a un inesperto, ricordare così sen-
z’altro le raffinatezze bizantine e le eleganze del flessuoso
linearismo gotico. I caratteri dell’arte bizantina e gotica an-
drebbero, sia pur sommariamente, spiegati in modo chiaro
e preciso. Bene invece ha fatto l’autore, parlando della Bat-
taglia di S. Romano di Paolo Uccello, a mostrare la ragione
estetica dell’inverosimiglianza della rappresentazione: ma
ancor più ci sarebbe piaciuto un accenno alla deformazione
artistica, che qui veniva in taglio benissimo. Tiziano poteva
dar lo spunto a una breve trattazione del colore come
mezzo precipuo di espressione. V. G.

III. - Arte romanica.
C. Aru, La chiesa di S. Pantaleo in Dalia, Reggio.
Emilia. Officine Grafiche Reggiane, 1927, pp. 39
e 32 illustrazioni. (Dagli Atti del Convegno Ar-
cheologico Sardo - Giugno 1926).
L’autore dà notizia di una recente scoperta, avvenuta du-
rante alcuni lavori di restauro nella chiesa di S. Pantaleo
in Dolia. Essendo stato scavato tutto il pavimento del
presbiterio fino al fondo roccioso, vennero in luce due al-
tari antichi, uno prima nascosto entro un rivestimento
marmoreo del secolo xix, l’altro immediatamente al disotto,
forse all’antico livello del piano presbiteriale. Per la strut-
tura i due altari potrebbero riferirsi al periodo romanico.
Si trovò inoltre un bacino scavato nell’arenaria, con tre
gradini per discendere al fondo, che doveva essere usato
per battezzare. In via d’ipotesi, è possibile riferire questo
bacino battesimale, originariamente sub die, a un periodo
compreso tra la metà del secolo iv e gli inizi del vi, con mag-
giori probabilità per il periodo tra la fine del secolo v e il
primo quarto del vi, cioè per quello della rinascenza reli-
giosa fiorita in Sardegna durante le persecuzioni vandaliche
nell’Africa cristiana.
Per quanto riguarda più propriamente la chiesa, le no-
stre conoscenze cominciano ad allargarsi e a farsi sicure
a partire dal sesto decennio del secolo xu. Abbiamo in-
fatti in questo periodo l’epitaffio di Maria Pisana datato
1170. A questa data si devono riferire le parti della chiesa
costruttivamente collegate al pilastro su cui l’iscrizione è
scolpita, e che stilisticamente convengono alla seconda
metà del secolo xu. Nella parte inferiore della chiesa,
riferibile cronologicamente a questa data, abbiamo una
costruzione di tipo schiettamente pisano. Della seconda
metà del xu secolo può ritenersi per i suoi caratteri un’iscri-
zione rinvenuta dall’autore, la quale ricorda il nome di un
magister Bonanus. È questo il famoso maestro pisano?
A un’ipotesi così seducente si può obiettare che non è pro-
vato che quel Bonanno fosse anche architetto, e che nelle
parti della chiesa del xn secolo .non vi è alcun elemento
scultoreo figurato che possa esser messo a confronto con
le porte di bronzo di Bonanno pisano.
Dopo alcuni decenni, verso la metà del secolo seguente,
o per rialzare una costruzione troppo bassa o per condurre
a termine un lavoro lasciato a metà, i lavori furono ripresi
sotto la direzione di un maestro probabilmente non più
toscano, ma neppur questa volta si continuò a lavorare
 
Annotationen