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GUSTAVO FRI ZZO NI
nell’Italia centrale, nè sussiste traccia alcuna ch’egli abbia oltrepassato la catena dei monti
che dividono il Piemonte dalla Liguria, non bastando a tal uopo 1’esistenza d’una sua tavo-
letta nella Galleria Balbi di Genova, la quale, del resto, alla sua volta, non porge alcun
indizio o richiamo dell’arte peruginesca. Quello che si può ritenere per fermo invece si è
che il nostro pittore dovette aver veduto e assorbito in sè uno dei capolavori di Pietro
Fig. na — Novara, Biblioteca civica. Gaudenzio Ferrari: Due Angeli. (Fotografia Masoero)
Perugino facilmente alla sua portata, voglio dire il delizioso trittico (o polittico che dir si
voglia) che Messer Pietro fece per un altare della Certosa di Pavia, oggi uno dei vanti
della Galleria Nazionale di Londra.
Non è nè più nè meno che il capolavoro di Gaudenzio, la sua ancona in una chiesa
di Arona al Lago Maggiore, quello che da tempo ha rivelato l’impressione da lui sentita,
fors’anche inconsapevolmente, alla vista del quadro della Certosa nominato, il cui motivo
centrale in ispecie, quello della Madonna in adorazione del divino Pargoletto, ha molta
analogia con quello della parte di mezzo dell’ancona di Arona.
Ma v’ha di più. L’applicazione di Gaudenzio ad una composizionè 'del Perugino ci
viene costatata da un quadretto, passato quasi inosservato fin qui, nella piccola Pinacoteca
dell’Istituto di Belle Arti in Vercelli. Ciascuno s’avvede infatti al primo colpo d’occhio
gettato sulla unita figura ga, che ci si affaccia in essa la nota composizione della Pietà del
Perugino, del 1495, esposta fra i capolavori della Galleria Pitti. Il dipinto della raccolta
vercellese è di proporzioni assai ridotte, condotto quasi a semplice moncromato sopra carta
GUSTAVO FRI ZZO NI
nell’Italia centrale, nè sussiste traccia alcuna ch’egli abbia oltrepassato la catena dei monti
che dividono il Piemonte dalla Liguria, non bastando a tal uopo 1’esistenza d’una sua tavo-
letta nella Galleria Balbi di Genova, la quale, del resto, alla sua volta, non porge alcun
indizio o richiamo dell’arte peruginesca. Quello che si può ritenere per fermo invece si è
che il nostro pittore dovette aver veduto e assorbito in sè uno dei capolavori di Pietro
Fig. na — Novara, Biblioteca civica. Gaudenzio Ferrari: Due Angeli. (Fotografia Masoero)
Perugino facilmente alla sua portata, voglio dire il delizioso trittico (o polittico che dir si
voglia) che Messer Pietro fece per un altare della Certosa di Pavia, oggi uno dei vanti
della Galleria Nazionale di Londra.
Non è nè più nè meno che il capolavoro di Gaudenzio, la sua ancona in una chiesa
di Arona al Lago Maggiore, quello che da tempo ha rivelato l’impressione da lui sentita,
fors’anche inconsapevolmente, alla vista del quadro della Certosa nominato, il cui motivo
centrale in ispecie, quello della Madonna in adorazione del divino Pargoletto, ha molta
analogia con quello della parte di mezzo dell’ancona di Arona.
Ma v’ha di più. L’applicazione di Gaudenzio ad una composizionè 'del Perugino ci
viene costatata da un quadretto, passato quasi inosservato fin qui, nella piccola Pinacoteca
dell’Istituto di Belle Arti in Vercelli. Ciascuno s’avvede infatti al primo colpo d’occhio
gettato sulla unita figura ga, che ci si affaccia in essa la nota composizione della Pietà del
Perugino, del 1495, esposta fra i capolavori della Galleria Pitti. Il dipinto della raccolta
vercellese è di proporzioni assai ridotte, condotto quasi a semplice moncromato sopra carta