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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 4.1901

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Fasc. 6
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Miscellanea
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https://doi.org/10.11588/diglit.24146#0475

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MISCELLANEA

SPIGOLATURE.

Adriano Fiorentino. — Su questo artista fonditore
tenni nell’adunanza dell’ri ottobre u. s. della Società
per l’incremento degli studi della storia dell’arte a
Berlino, una conferenza che credo opportuno riassu-
mere brevemente per i lettori del L'Arte.

Il nome di questo artefice s’incontra per prima
nell’Anonimo Morelliano, di cui fu autore M. A. Mi-
chiel, patrizio veneto. Questi nel suo scritto lo segnala
come fonditore di un gruppo del Bellerofonte col Pe-
gaso, modellato dallo scultore fiorentino Bertoldo di
Giovanni, e che a suo tempo esisteva nella casa di
Alessandro Capella in Padova. Nella seconda edizione
dello scritto del Michiel, curata nel 1885 dal dott. Gu-
stavo Frizzoni, questi — grazie a parecchi ragguagli
fornitigli dal compianto Gaetano Milanesi — era in
istato di dare la prima notizia esatta su Adriano, se-
condo la quale egli apparteneva alla famiglia fioren-
tina dei Maestri (de Magistris), e stette dal i486 al 1488
come fonditore di artiglierie ai servizi del rinomato
condottiere Gentil Virginio Orsini di Bracciano. Ma
nemmeno la scoperta de gruppo del Bellerofonte, fatta
nel 1885 dal Courajod nel Museo imperiale di Vienna,
ci svelò la personalità artistica del maestro, benché su
esso si trovasse l’iscrizione: Expressit me Bertoldus,
conjlavit AcLrìanus, giacché egli nell’opera in discorso
non entrò se non come fonditore del modello altrui.

Fu il Bode, direttore del Museo di Berlino, che
nel 1885 in un articolo dell 'Annuario dei Musei prus-
siani (annata V, pag. 59), per fissar l’identità del
ritratto di Federico il Savio dipinto dal Diìrer ed
acquistato poco prima pel detto Museo dalla raccolta
Hamilton, additò un busto in bronzo di quel prin-
cipe, proveniente dal castello di Torgavia, segnato e
datato in questo modo: « Hadrianus Florentinus me
faciebat, Anno Salutis 1498 », e conservato ora nel
Museo di scultura (Albertinum) a Dresda. Dal con-
cetto poco significante e dal modo meschino di trat-
tare il panneggiamento il Bode congetturò essere stato
autore dell’opera in discorso un maestro lontano da
lungo tempo dalla sua patria, e che in qualità di

fonditore di campane o bombarde era impiegato in
Sassonia.

In conseguenza di siffatta congettura supposi'che
il maestro del busto di Dresda e l’Adriano dell’Ano-
nimo fossero una stessa persona. E in questa mia
supposizione fui confermato dalla scoperta della iscri-
zione: e. Hadrianus me /[aciebat] », sulla base di un
piccolo gruppo di bronzo alto 40 centimetri incirca,
che dalla ben nota ditta Giulio.Sambon era stato man-
dato, fra altri bronzi, all’ Esposizione di metalli e
bronzi di Norimberga nell’anno 1885. Esso raffigurava
Venere con ai piedi un Amorino, ambedue nudi. La
dea sta ritta su una conchiglia, tenendo con la sini-
stra i capelli sciolti e porgendo la destra al piccolo
Cupido che sembra voler tirare la madre, forse nel
bagno. Il modellare è affatto scevro d’idealismo:
l’unica preoccupazione dell’artista era di rappresen-
tare quanto più esattamente la natura, senza che
egli però sia riuscito del tutto a comunicare alla sua
opera il soffio della vita. In quanto alla bellezza clas-
sica, tutta regolare, l’autore non ne fa gran conto :
lo attestano le spalle irte, le braccia magre e troppo
lunghe, i piedi larghi e schiacciati della dea. È nel
modellare del seno ed anche della testa che lo scul-
tore pare aver messo il maggior suo studio, benché
non sia riuscito a infondere ai lineamenti del viso
molto spirito. Caratteristica è la sua maniera di scio-
gliere i capelli in ciocche parallele, come s’incontra
pure nel busto di Federico il Savio a Dresda, che
però è posteriore di alcuni decenni al nostro gruppo.
Le forme, l’atteggiamento e il movimento dell’Amo-
rino toccano molto più da vicino la maniera dell’arte
classica. In tutta l’opera non c’è niente del carattere
aspro, austero che si rivela nei bronzi della scuola
padovana. Insomma, il nostro gruppo non produce
l’impressione d’una creazione dell’ultimo quarto del
Quattrocento, ma piuttosto di un’opera anteriore di
venti o trenta anni, che denoterebbe il fare di uno 1

1 V. Zeitschrift fur bildende Kunst, a. 1885, p. 147.
 
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