IL CHIOSTRO DI SANT'OLIVA IN CORI
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pietre) i lombardi serbarono appunto costantemente questo carattere di tecnica viva e robusta,
a linee sottili e spigoli taglienti, e di una varia e libera fantasia nella composizione, in con-
trapposto con la morbidezza di esecuzione e con la correttezza elegante di forme dell’arte
toscana. Spesso invero tali qualità si andarono smorzando in tali artefici man mano che si
vennero, per così dire, acclimatando nelle altre regioni ; ma non così in Antonio di Como,
che porta qui intatte le più vive caratteristiche della sua arte, e sembra sia venuto giù,
senza fermate intermedie, dalle valli alpine natie.
Tuttavia neanche la designazione del nome, così come è fatta, è sufficiente a darci una
precisa notizia dell’artista sì da poterlo identificare con altro già noto. E infatti da ritenere
Fig. 18 — Assisi, Chiostro posteriore alla basilica di San Francesco
che tanto lungi dal paese natio egli si sarà firmato « da Como » anche se appartenente ad
uno dei tanti villaggi del Comasco, come Campione, Osteno, Locate, ecc., che pure ebbero
una così fiorente storia artistica a sè.1 Allargato in tal modo il campo, così numerosi si
trovano nella seconda metà del Quattrocento i lapicidi comaschi di nome Antonio, che
sarebbe vana qualsiasi ipotesi che avesse a base il nome.2
Anche in Roma, piena in quel tempo di artisti del settentrione d’Italia, varii Antonii
marmorari lombardi si trovano che potrebbero anche corrispondere all’autore del chiostro
1 Per citare un esempio, il Bartolomeo, autore del
chiostro di Farneta presso . Lucca (1509), si è firmato
« Comasco », pur avendo avuto la precauzione d'ag-
giungere il luogo preciso di nascita, Scaria. (Vedi
D. Sant’Ambrogio, La Certosa di Farneta, nel Po-
litecnico, Milano, 1905).
2 Tanto per citarne qualcuno, noteremo Antonio
Bregno di Osteno, Antonio Solari di Casate, Antonio
Scarpagnino, un Antonio di Como che lavorava a
Genova nel 1466 (vedi : Ballettino storico della Sviz-
zera italiana, 1893, pag. 181), un altro Antonio di
Como che era a Belluno nella costruzione del palazzo
vescovile (vedi Paolktti, Il Rinascimento a Venezia,
I. Pag. 59).
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pietre) i lombardi serbarono appunto costantemente questo carattere di tecnica viva e robusta,
a linee sottili e spigoli taglienti, e di una varia e libera fantasia nella composizione, in con-
trapposto con la morbidezza di esecuzione e con la correttezza elegante di forme dell’arte
toscana. Spesso invero tali qualità si andarono smorzando in tali artefici man mano che si
vennero, per così dire, acclimatando nelle altre regioni ; ma non così in Antonio di Como,
che porta qui intatte le più vive caratteristiche della sua arte, e sembra sia venuto giù,
senza fermate intermedie, dalle valli alpine natie.
Tuttavia neanche la designazione del nome, così come è fatta, è sufficiente a darci una
precisa notizia dell’artista sì da poterlo identificare con altro già noto. E infatti da ritenere
Fig. 18 — Assisi, Chiostro posteriore alla basilica di San Francesco
che tanto lungi dal paese natio egli si sarà firmato « da Como » anche se appartenente ad
uno dei tanti villaggi del Comasco, come Campione, Osteno, Locate, ecc., che pure ebbero
una così fiorente storia artistica a sè.1 Allargato in tal modo il campo, così numerosi si
trovano nella seconda metà del Quattrocento i lapicidi comaschi di nome Antonio, che
sarebbe vana qualsiasi ipotesi che avesse a base il nome.2
Anche in Roma, piena in quel tempo di artisti del settentrione d’Italia, varii Antonii
marmorari lombardi si trovano che potrebbero anche corrispondere all’autore del chiostro
1 Per citare un esempio, il Bartolomeo, autore del
chiostro di Farneta presso . Lucca (1509), si è firmato
« Comasco », pur avendo avuto la precauzione d'ag-
giungere il luogo preciso di nascita, Scaria. (Vedi
D. Sant’Ambrogio, La Certosa di Farneta, nel Po-
litecnico, Milano, 1905).
2 Tanto per citarne qualcuno, noteremo Antonio
Bregno di Osteno, Antonio Solari di Casate, Antonio
Scarpagnino, un Antonio di Como che lavorava a
Genova nel 1466 (vedi : Ballettino storico della Sviz-
zera italiana, 1893, pag. 181), un altro Antonio di
Como che era a Belluno nella costruzione del palazzo
vescovile (vedi Paolktti, Il Rinascimento a Venezia,
I. Pag. 59).