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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 9.1906

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Fasc.4
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Colasanti, Arduino: Note sull'antica pittura fabrianese: Allegretto Nuzi e Francescuccio di Cecco Ghissi
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https://doi.org/10.11588/diglit.24151#0305

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264

ARDUINO CO LASAN TI

per la Marca d’Ancona, dovè chiedere inutilmente qualche commissione. Da questo momento
alla prima importante immigrazione di artisti forestieri passano ancora una cinquantina di
anni, cioè il tempo necessario perchè Venezia divenisse un grande centro di produzione arti-
stica, onde alcuni suoi maestri, piuttosto che affrontare in patria una concorrenza fattasi ormai
troppo diffìcile, preferirono talvolta di lavorare per le modeste chiesuole di altre regioni.
E allora le relazioni commerciali della gloriosa repubblica, estese a tutta la costa adriatica,
furono anche la via per cui s’incanalò la sua arte, da Rimini fino a Teramo e a Bari.

D’altra parte per chi voglia determinare i limiti, l’importanza e i caratteri delle scuole
pittoriche fiorite di là dall’Appennino centrale e lungo il litorale adriatico, riesce inutile enu-
merare, come fa il Natali, tutti gli artefici di altre regioni i quali convennero nelle Marche
e vi lasciarono i documenti della loro attività,1 poiché tutto ciò non fa avanzare di un passo
le molte quistioni che si aggirano intorno alle fonti, alla natura, alla entità estetica e alla
originalità dell’arte marchigiana.

Il vero è che nella indagine di un così complesso problema storico non è possibile por-
tare i concetti troppo rigidi della geografia moderna. L’evoluzione delle forme artistiche non
corrisponde sempre alle accidentalità della ripartizione geografica delle regioni, ma è infor-
mata a ragioni etniche ormai difficilmente determinabili e segue le vie che solo il confronto
e la classificazione dei documenti artistici affini riescono a indicare.

Alla stregua di queste considerazioni, esaminando quanto di personale e di caratteristico
sia nelle opere dei più antichi pittori fioriti di là dall’Appennino, studiando quali influssi ne
determinarono le tendenze e le predilezioni, considerando in qual modo le forme dell’arte
indigena reagirono contro le correnti venute di fuori, prima di confondersi con esse, noi
potremo parlare di un’arte di Gubbio, di Sanseverino, di Camerino, di Urbino e di Fabriano,
ma non di arte marchigiana.

Durante i secoli più oscuri del medio evo deve essere stata nella Marca d’Ancona, come
in ogni altra regione d’Italia, una serie non interrotta di pittori, la cui operosità ci è attestata,
fra l’altro, dai pochi avanzi di affreschi esistenti nella cripta di San Ruffino presso Aman-
dola, 2 nei riquadri della facciata della chiesa dei SS. Vincenzo e Anastasio in Ascoli Piceno,
all’esterno di Sant’Andrea e di San Venanzio e all’interno di San Vittore nella stessa città. 3
Ma nessuna di queste opere, che vanno dal secolo nono alla fine del decimoterzo, è firmata
e nessun documento ce ne indica gli autori; in esse inoltre si ricerca invano l’impronta di
un’arte che appaia in una varietà locale, ben determinata dall’ambiente nel quale si andò
svolgendo.

Invece noi conosciamo i nomi di molti pittori marchigiani, ai quali non sapremmo attri-
buire con certezza un solo lavoro che possa servire di fondamento ad una eventuale rico-
stituzione della loro attività o che almeno valga a chiarire quali elementi personali essi por-
tarono nell’arte della loro regione. Fino a quando, pertanto, nuove e più fortunate ricerche
di documenti e di opere non ci porranno in grado di gittare le basi di una più larga e pro-
fonda conoscenza degli antichi maestri che fiorirono nelle Marche, non sarà possibile trat-
tare dell’arte marchigiana nel suo complesso, nel suo graduale svolgimento, nel suo senti-
mento e nelle influenze subite, perchè ognuno intende facilmente la fallacia di un metodo, il
quale si ostinasse a voler attribuire a quei pochissimi pittori di cui conosciamo mediocre-
mente la personalità artistica, tutte le opere, le quali, senza paternità certa, sono sparse per
una così vasta regione.

guito per la chiesa di San Cassiano in Pesaro, sono
distrutti o smarriti, ma furono veduti dal Lanzi (Storia
pittorica, t. II. lib. Ili) e daU'Olivieri (Memorie della
chiesa di Santa Maria di Montegranaro, 34-35). Pe-
saro conserva ancora un’opera di Jacobello del Fior.

1 G. Natali, L’arte marchigiana, Macerata, 1905.

2 Pi Ferranti, Pitture romaniche della chiesa esterna
dell’ abbadia di San Ruffino presso Amandola, in Nuova
rivista Misena, 1890, 38 e segg,

J G. Cantalamessa, Pitture romaniche in Ascoli
Piceno, in Nuova rivista Misena, 1890, 101 e segg.
 
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