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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 9.1906

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Fasc. 6
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Ciaccio, Lisetta: Scoltura romana del Rinascimento, [3]: primo periodo (sino al pontificato di Pio II)
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https://doi.org/10.11588/diglit.24151#0483

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440

LISETTA GIACCIO

La mano del maestro dei Quattro dottori vi si riconosce a prima vista nel panneggio
del manto episcopale e della veste in tutto simile al n. 41 delle Grotte vaticane ed ai fram-
menti di Sant’Onofrio ; e nella fine e nobile modellatura del viso magro dalle grandi occhiaie
e bocca piccola, nelle mani con la placca ovale sul dorso e le dita che sembran senza guanto.
Anche il trattamento dei ricami delle vesti, della mitria e dei cuscini è il solito a fondo
scalfito; soltanto la lavorazione ne è un po’ meno fine del solito, mentre al contrario in tutto
l’insieme della scultura le forme hanno un certo che di ancora più evoluto che nelle scul-
ture di Sant’Onofrio, il che ci fa credere il rilievo tombale di Rodrigo Sanctio (posteriore al
1471) più tardo di qualche poco di quei frammenti.

Motivi per identificare lo scultore con alcuno degli artisti del suo tempo, dei quali si
ha notizia, ci mancano ; ma certamente il suo nome dovrebbe esser ricercato fra gli artisti

legati in modo speciale a casa Borgia, se consideriamo
che egli scolpì il paliotto con tutta probabilità destinato
al sacello di Callisto III, eseguì il monumento di questo
papa eretto dal nipote Cardinal Rodrigo Borgia, e che
infine lavorò nella chiesa nazionale degli Spagnuoli.

* * *

Possiamo ora, dopo avere già veduto tanti e vari
prodotti della primitiva scuola romana del Rinascimento,
essere in grado di passare a studiare anche il rilievo
collocato nella lunetta della porta maggiore della chiesa
di San Marco, rappresentante il santo Evangelista tito-
lare della chiesa, seduto in trono (fig. 8).

Evidentemente qui pure abbiamo un saggio di quel-
l’arte locale ancor bambina, che, in ritardo, dietro il già
non più recente esempio di Donatello e del Filarete,
piuttosto che seguire il contemporaneo movimento del-
l’arte fiorentina, si abbandona con passione all’imita-
zione dell’antico che riproduce con una fedeltà meticolosa
e punto geniale, esagerando quelle particolarità di stile
dell’arte classica decadente, che più le sembravano in
contrasto con l’arte gotica.

Così qui vediamo il panneggio, secondo la tendenza
notata negli scultori già studiati, specialmente nel
maestro delle Virtù, moltiplicarsi in un numero inverosimile di pieghe trite e pesanti che
l’artista non sa poi come far terminare nei lembi che ricadono sul suolo e sui piedi, se non
arricciandoli nervosamente come l’orlo di un’alga, laddove i lembi pendenti si dispongono
a zig-zag, come negli Apostoli della balaustra e nei Quattro dottori.

Nella testa il cranio piuttosto alto e gli occhi piccoli senz’iride ricordano pure queste scul-
ture, mentre la capigliatura e la barba a strie fortemente ondulate, sono assai vicine alla ma-
niera del maestro delle Virtù (testa di Sant’Andrea). Il leone poi è imitato scrupolosamente da
modelli antichi della decadenza (si veda ad esempio il n. 111 della Galleria lapidaria vaticana).

Per contrario i due puttini collocati lateralmente sulla spalliera della cattedra, reggendo
un lungo festone di frutta, vestiti di corte camiciuole trasparenti, grassottelli vivaci e graziosi,
gravati su un sol piede, mentre stendono leggermente l’altra gambetta nel vuoto, sono del
tutto donatelliani, ed il motivo del loro atteggiamento diverrà tipico nella scultura romana
posteriore, specialmente nelle opere di Mino del Reame, la cui arte conserverà parecchi
degli accenti di questa scuola primitiva, come il panneggio a fìtte pieghe allargantesi nel
fondo della veste in una specie di frappa a lembo lichenioso, di cui vediamo il germe nei
frammenti di Sant’Onofrio.
 
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