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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 9.1906

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Fasc. 6
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Corrieri
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https://doi.org/10.11588/diglit.24151#0514

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CORRIERI

47i

di Pisa. In questa parte del lavoro è evidente la mano
del maestro, ancora memore, nel primo periodo della
sua attività, delle tradizioni artistiche del Quattrocento
che egli aveva vedute e studiate in patria nelle opere
di Lorenzo suo padre. Ma qui lo Stagi anche rima-
nendo quattrocentista nel concetto e nella linea ge-
nerale del suo lavoro, pure segue un poco nella tecnica
le predilezioni dei tempi nuovi e s’insinua con lo scal-
pello dentro le forme, e le rileva, le distacca, le finisce
con molta ricchezza di particolari e di dettagli. Nei
fasci ornamentali che cingono le colonne nella loro
parte inferiore, nel fregio dell’architrave, nelle basi

delle colonne, tutte parti che sono opera sua, lo Stagi
ha conservato la stessa diligenza di lavoro. Un altro
carattere è suo proprio : egli svolge lo stesso motivo,
minutamente, con ricchezza inestinguibile di forme,
per tutto il campo decorativo; e a differenza del Fan-
celli tecnicamente più grossolano, non spezza mai la
linea deH’ornato, non la divide in gruppi, ma la ri-
volge in tutti i modi, anche aggrovigliandola in forme
strane.

Il capitello del cero pasquale (fig. 8) attribuito al
Fancelli è stato invece dal Supino rivendicato a Stagio.
Quest’opera fu allogata ed incominciata da Pandolfo,
finita per la massima parte dallo Stagi. Il Supino
giunge a questa conclusione dall’esame delle memorie
d’archivio; a conferma di ciò io rivolgo l’indagine al
documento più sincero, all’opera d’arte medesima.

E studiando il capitello si riconosce subito in con-
fronto alla parte più piccola che è opera di Pandolfo
la maggior parte, più bella, eseguita da Stagio. Tre

facce del capitello, quelle che sono più in luce e più
in vista, appartengono allo Stagi ; l’altra, rivolta verso
il muro, è di Pandolfo. Non può affermarsi che il ca-
pitello abbia conservato la posizione che ebbe fin dal
principio perchè in questo caso potrebbe credersi ra-
gionevolmente che lo Stagi avesse voluto questo col-
locamento dell’opera per dare maggiore importanza
al suo lavoro. La mano del Fancelli è più debole al
confronto ; egli nella sua parte ha una sola figura di put-
tino, molto grosso e pesante di forma, ben distinto dalla
parte vegetale che sta di sotto, dove le foglie d’acanto,
modellate senza precisione di disegno, sono larghe e

piatte. Così pure il mascherone, dal largo viso, ha
poco profondi i sottosquadri e le ombre. Pandolfo
ha modellato in furia, non ha studiate le forme, non
le ha animate come lo Stagi nella sua parte. In
questa le figure sono più numerose, più varie ; i tre
puttini che escono fuori abbracciati dalle volute delle
foglie, i due fauni che sorreggono un altro puttino,
sono tutti leggeri, freschi nel modellato, mossi senza
sforzo, pieni di sorriso e di grazia ; i mascheroni dai
sottosquadri più forti hanno maggiore rilievo, mag-
giore vivezza ; le foglie sono più pazientemente ela-
borate, più solcate nelle nervature e più arricciate. Le
forme vegetali non sono distinte dalle figure umane;
vi è quella commistione caratteristica del maestro già
iniziata nei capitelli di Pietrasanta dove però lo Stagi
non è così tecnicamente progredito, o per meglio dire,
così tecnicamente cinquecentista.

Dopo la morte del Fancelli, avvenuta forse nel
luglio del 1526, Stagio continua per suo conto i la-

Fig. 8 — Pisa, Duomo. Capitello del cero pasquale
di Pandolfo Fancelli e Stagio Stagi - (Fotografia Alinari)
 
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