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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 20.1917

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Fasc. 1
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Hermanin, Federico: Di alcuni incisori italiani della prima metà del Seicento
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32

FEDERICO HERMA XIX

A proposito dell'arte di Giacomo Callot è molto interessante il vedere come egli,
per virtù dei Fiorentini, sia riuscito a liberarsi dai pedanteschi insegnamenti di Filippo
Thomassin 1 che a Roma esercitava industrialmente l'arte dell'incisione, appresa da
Antonio Tempesta.

11 Thomassin aveva reso anche più vuoto ed antipatico quel modo di usare il bulino
calli graficamente, messo di moda da Cornelio Cort e da Cornelio Galle, sul modello degli
ultimi seguaci di Marcantonio, come Hieronimus Cock, Maria Kartario ed i Carracci.

Filippo Thomassin e Giacomo Callot, venendo a Roma, portarono con loro la tradi-
zione italianeggiantc di Jean Cousin, di GeofTroy Tori, di Bernard Dellame e di Jacques

Giulio Parigi: Scénario — Roma, Gabinetto Nazionale delle stampe n. 76381

Androuet Ducerceau, che avevano tutti dovuto piegare la loro originalità paesana dinanzi
ai modelli italiani, divulgati da Fontainebleau, riuscendo però a porre nelle forme straniere
lo spirito nuovo e caratteristico del proprio paese.- Filippo Thomassin, debole artista
per sua natura, non seppe reagire e rimase durante tutta la sua vita seguace della
scuola italo-fiamminga, facendosi ammirare più 3 per la sveltezza nell'eseguire, che per
la finezza, trovandosi in ciò d'accordo con molti die con lui lavoravano in Roma,
come ad esempio Cherubino Alberti, Raffaele Guidi, Antonio Tempesta, Giovanni Maggi
ed altri che erano tutti intenti a produrre molto e presto.

Giacomo Callot, invece, non trasse dal suo maestro Thomassin, con cui lavorò dal
1609 al 1611, che l'abilità del segno, mentre coltivava il fervido ingegno colla visione delle
grandezze di Roma.

1 Edmond Bruwakrt, Hecherches sur la vie et
V oeuvre du graveur Ph. Thomassin. Troyes, Dufour-
Bouquet, 1876: Id., Le maitre de Jacques Callot,

in Revue de Paris, 1911, p. 391.

2 Giovanni Baglionk, Le vite, Roma, M. Ma-
nelfi, 1649, p. 396.
 
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