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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 20.1917

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Fasc. 2
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Longhi, Roberto: Cose bresciane del Cinquecento
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https://doi.org/10.11588/diglit.17337#0133

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COSE BRESCIANE DEL CINQUECENTO

LA Scuola Bresciana di pittura nei primi decenni del Cinquecento è forse la più
ricca d'intelligenze e ricerche quasi scerete che vanti in quel tempo l'Italia settentrio-
nale. Le sue incontrastabili relazioni, ed altrettanto incontrastabili indipendenze dalla
pittura veneziana contemporanea, le sue fedeltà a tradizioni anteriori, e le sue rapidis-
sime percezioni del nuovo, le sue rifrazioni altrove in terre non troppo distanti, lo scor-
rere talora nelle sue vene del fluido che Lotto andava spargendo in Italia secondo una
topografia capricciosa come le sue forme, sono altrettanti deliziosi quesiti che non
esattamente sceverati fin qui, e assunti con troppo semplicismo unitario e con troppa
rigidezza dai vari critici, vanno riproposti ancora una volta all'attenzione degli uomini
di gusto, come cibo delicatissimo e sostanzioso ad un tempo. Vanno riproposti e forse
non risolti; o almeno il mio intento, questa volta, è di riproporli, e non di risolverli.

* * *

Riproporli è in parte ripercorrere rapidamente la storia della critica sulla scuola
Bresciana negli ultimi trent'anni. Inutile rifarsi più addietro, chè al tempo del Lanzi
era di moda aggregare tutti i Bresciani allo « stuolo dei Lizianeschi » pure ammettendo
che Moretto avesse studiato Raffaello — dopo il 1539! 1 Più tardi non v'è che la frase del
Rio, che non sfuggì all'acutezza del Morelli. È una frase sulBonvicino che dice: «La diffe-
renza che continuò a sussistere tra la maniera di Moretto e quella della Scuola Veneziana
non ha potuto sfuggire che a degli osservatori superficiali».2 In sostanza nel Rio l'afferma-
zione era impostata su dimostrazioni di nessun valore, sicché in fatto di storia pittorica i
rilievi del Lanzi che pure aggrega il Moretto alla Scuola veneziana sono di importanza
ben più riguardevole; ma la frase del Rio era recisa e nuova, e poteva svegliare l'atten-
zione di altri. Tuttavia non ci sembra che nò il Morelli nò il Cavalcaselle, ad onta dei
loro meriti particolari quasi infiniti nell'illuminazione della scuoia bresciana abbiano
condotto a risoluzione il problema. Il Cavalcaselle vide abbastanza giustamente l'orbita
puramente veneziana di Romanino, ma quanto al Moretto fu guasto dalla credenza in
certe tradizioni che davano a Moretto giovine opere che non si possono ritenere in nessun
caso della sua mano.3 Il Morelli fu alquanto sviato dall'obbiettività, dalla sua compia-
cenza nel contraddire per partito preso il Cavalcaselle; ciò l'avrebbe ricondotto automa-
ticamente sulla via giusta almeno per il Moretto, e ad ogni modo la sua sperienza di
conoscitore gli fece correggere al proposito molte cose, o almeno parecchie attribuzioni;
ma il suo contrasto con il Cavalcaselle e il Bodc lo rinserrò in una meschineria provin-
ciale, per cui s'ostinava a cercare le origini locali di Romanino e a combattere la teoria

1 Lanzj, Storia -pittorica della Italia, Bassano, 3 Cavalcaselle and Crowe, A history of
1809, voi. Ili, p. 12S e seg. Painting in North Italy, Londra, 1871, voi. II,

2 Morelli, Kunsthritische Studien iiber die- Ita- capo VII: 0 The Bresciana ».
lienisohen Malerei, voi. Ili, p. 111.
 
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