/)/ ALCUNI INCISORI ITALIANI DELLA PRIMA METÀ DEL SEICENTO 33
Resa più fine la sua tecnica col seguire i modelli del Villamena e del Tempesta, Giacomo
Callot giunse a Firenze nel 1611 sapendo maneggiare con grande abilità il bulino, portando
con sè la serie delle « gesta » della regina Margherita di Spagna, in cui accanto al Tem-
pesta ed allo Schiaminossi aveva lavorato anch'egli.
Allogatosi col Poccetti, che era fra i più vivaci e spigliati pittori fiorentini, potè pe-
netrare veramente nell'anima di quella minuta e spiritosa pittura che allora fioriva nella
grande città toscana ed andava popolando di scene di vita d'ogni giorno, travestite
con vesti di leggenda e di santità le vòlte serene delle ville, dei chiostri e delle chiese.
Remigio Cantagallina — Roma, Gabinetto Nazionale delie stampe n. 76376
Il Callot unì lo studio delle forme pittoriche toscane a quello delle incisioni di Jean Col-
laert, ripigliando così alle sue origini gli insegnamenti del Thomassin.
Quando nell'anno 1614 fu ammesso nella bottega di Giulio Parigi, egli era già quasi
provetto maestro, tanto da potere incidere quello spigliato ritratto del principe Francesco,
fratello di Cosimo II, che è la prima prova della sua riuova maniera personale, pas-
sando poi a traverso le Battaglie dei Medici, ancora di sapore tempestiano, alla serie di
Peccati e dei Capricci disegnati ed incisi secondo il gusto di Giulio Parigi, per giungere a
quella Fiera dell' I mpruneta veramente opera più di francese toscanizzato che di toscano in-
franciosato, che sta come un monumento fra le incisioni fatte in Italia durante la prima
metà del secolo decimosettimo.
Sarebbe però ingiusto il non ricordare fra i suoi maestri, accanto a Giulio Parigi, quel
Remigio Cantagallina da Borgo San, Sepolcro, che, trovandosi nella bottega del Parigi
ad incidere le fantasie architettoniche e gli apparati scenici, che questi andava prepa-
rando fu veramente l'iniziatore di una nuova maniera nell'immaginare e disegnare paesaggi
che s'adattassero ad essere moltiplicati coll'incisione.
Di questo finissimo artista, che nelle storie di Tobia e di Gesù fu forse il primo fra
gli incisori italiani a darci minuti paesaggi, in cui le forme naturali e gli uomini si fondono
armonicamente in composizioni organiche, dove luce ed ombra si alternano piacevolmente
L'Arti. XX, 5
Resa più fine la sua tecnica col seguire i modelli del Villamena e del Tempesta, Giacomo
Callot giunse a Firenze nel 1611 sapendo maneggiare con grande abilità il bulino, portando
con sè la serie delle « gesta » della regina Margherita di Spagna, in cui accanto al Tem-
pesta ed allo Schiaminossi aveva lavorato anch'egli.
Allogatosi col Poccetti, che era fra i più vivaci e spigliati pittori fiorentini, potè pe-
netrare veramente nell'anima di quella minuta e spiritosa pittura che allora fioriva nella
grande città toscana ed andava popolando di scene di vita d'ogni giorno, travestite
con vesti di leggenda e di santità le vòlte serene delle ville, dei chiostri e delle chiese.
Remigio Cantagallina — Roma, Gabinetto Nazionale delie stampe n. 76376
Il Callot unì lo studio delle forme pittoriche toscane a quello delle incisioni di Jean Col-
laert, ripigliando così alle sue origini gli insegnamenti del Thomassin.
Quando nell'anno 1614 fu ammesso nella bottega di Giulio Parigi, egli era già quasi
provetto maestro, tanto da potere incidere quello spigliato ritratto del principe Francesco,
fratello di Cosimo II, che è la prima prova della sua riuova maniera personale, pas-
sando poi a traverso le Battaglie dei Medici, ancora di sapore tempestiano, alla serie di
Peccati e dei Capricci disegnati ed incisi secondo il gusto di Giulio Parigi, per giungere a
quella Fiera dell' I mpruneta veramente opera più di francese toscanizzato che di toscano in-
franciosato, che sta come un monumento fra le incisioni fatte in Italia durante la prima
metà del secolo decimosettimo.
Sarebbe però ingiusto il non ricordare fra i suoi maestri, accanto a Giulio Parigi, quel
Remigio Cantagallina da Borgo San, Sepolcro, che, trovandosi nella bottega del Parigi
ad incidere le fantasie architettoniche e gli apparati scenici, che questi andava prepa-
rando fu veramente l'iniziatore di una nuova maniera nell'immaginare e disegnare paesaggi
che s'adattassero ad essere moltiplicati coll'incisione.
Di questo finissimo artista, che nelle storie di Tobia e di Gesù fu forse il primo fra
gli incisori italiani a darci minuti paesaggi, in cui le forme naturali e gli uomini si fondono
armonicamente in composizioni organiche, dove luce ed ombra si alternano piacevolmente
L'Arti. XX, 5