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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 20.1917

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Fasc. 2
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Longhi, Roberto: Cose bresciane del Cinquecento
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https://doi.org/10.11588/diglit.17337#0148

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H4

ROBERTO LONGHI

Giovine, o del Palma, magari in un semplice frisò di capegli, o nel trinciare più
sventato degli sburri, cppoi si potrebbe passare a « fenomeni » più evidenti come sono
a Ferrara il passaggio dal Grandi al Mazzolino; a Cremona dal Boccaccino ad Alto-
bello; a Brescia, quello che abbiam visto, del Roma nino, dai due Santi di Lovere agli
affreschi di Cremona; a Milano quello dal Bramantino dell'Isola bella al Bramantino
di Locamo, o ciò che vale lo stesso a Gaudenzio Ferrari.

Come tendenze parallele apparirebbero allora le mutazioni del Pordenone, quelle
di Gian Francesco Bembo e d'altri. Più tardi resterebbero da studiare i passaggi di
Giulio Campi a Cremona, di Brusasorci a Verona, e il secondo passaggio di Calisto verso
le forme muscolari; sebbene sian questi di già, veri e propri fenomeni di « romanismo ».

E vi sono ancora tentativi altissimi e solenni, che non ardiamo dire se ci paiano
del tutto risolutivi, dapprima la riforma giorgionesca, poi l'alta « contaminazione » di
Sebastiano, poi ancora il passaggio di Tiziano verso il 1518.

Se questi superbissimi tentativi abbiano creato qualcosa essenzialmente genera-
tivo di nuove forme è cosa che non ci tocca discutere qui; dove basta ricordare aper-
tamente che sebbene per intelletto più modesti furono senza dubbio sommamente ri-
solutivi e pieni di avvenire gli studi novissimi di Lotto, che già nel 1516 poteva lasciare
in Bergamo quella pala di S. Bartolomeo, la quale si stacca completamente dall'arte
veneziana contemporanea, e gli studi di forma corsiva ed espressa non plasticamente
ma quasi « pittoricamente », di che ci clànno esempi chiari ed aperti Girolamo Savoldo
e Alessandro Moretto, pittori di Brescia.

Roberto Longhi.
 
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