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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 20.1917

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Fasc. 2
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Pittaluga, Mary: Eugène Fromentin e le origini de la moderna critica d'arte, [2]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17337#0150

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MARY PITTALUGA

di Tiziano, dichiarava che la correttezza del disegno è l'unico pregio de la pittura, l'unico
mezzo che possa condurre ad effettiva perfezione artistica.

Il Blanchard, giovane, entusiasta dei Veneti, prendeva allora le difese dei coloristi, e
leggeva a l'Academia una conferenza, in cui, dopo infinite scolastiche disquisizioni, veniva
a concludere, che scopo de l'arte del pennello « c'est de tromper les yeux et d'imiter
la nature ». Potrebbe avvenire ciò senza il colore? No, ch'esso è il mezzo precipuo, per cui
la pittura differisce da ogni altr'arte. Inoltre, l'elemento cromatico fu tenuto in gran conto,
da l'antichità, nel tempo, cioè, in cui il disegno era ben superiore e il colore ben inferiore
di quanto, oggi, l'uno e l'altro non siano: come non ammettere, dunque, anche per questa
ragione, la superiorità del secondo sul primo?

Una simile dialettica, evidentemente, non poteva sgomentare l'avversario, e tanto
meno il nipote di lui, G. B. di Champaigne, il quale, con altrettanta scolastica pedan-
teria, sostenne la tesi del disegno: la pittura deve dare sì l'illusione de la realtà, ma tale
illusione non può essere conseguita con il colore, perchè « la peinture ne peut former au-
cune figure sans le dessin ». Che cosa sarebbe il colore solo? Nè basta: i signori di Champaigne
chiedono aiuto agli etimologi, che avevano definito « peintre tire son origine de depeindre,
qui est de faire la rassemblancc de ce qu'on propose; cette qualité ne s'attache nullement
à la matière, puisqu'on peint en prose; n'appelle-t-on pas la poesie une peinture parlante?»

Ecco le ragioni capitali, con cui i due contrastanti paladini sostenevano, rispettiva-
mente, la propria tesi. Un guazzabuglio di realismo, di classicismo, di pseudo-erudizione
letteraria — la mancanza d'ogni criterio ben definito — l'ignoranza più evidente d'ogni
principio d'arte.

Per definire la questione occorse l'intervento ufficiale de l'Academia stessa: il Le
Brun lesse, infatti, un discorso, in cui, dopo una catena di ragionamenti sconcertanti, e
dopo la bella dichiarazione, che « pour bien parler du mérite de quelque chose, il faut
savoir en quoi consiste » seccamente concludeva: « C'est le dessin qui fait le merite de la
peinture et non pas la couleur ».

Questa, la previdibile conclusione del pittore famoso, che poneva termine a la breve
battaglia contro il predominio del disegno: la quale, del resto, aveva rappresentato, più
che altro, « un capricc de goùt, fatigué de ses anciennes admirations, et non une ten-
tative sérieuse, pour réformer l'esprit étroit du siècle »."

Benché un quadro, secondo il Le Brun, non potesse essere perfetto, se il colore non vi
fosse distribuito dottamente e con economia, si era però convinti che al disegno solo si
dovesse dare il primato, considerandolo il polo e la bussola de la pittura. « Il colore è
l'oceano dove annega molta gente, che vorrebbe salvarsi! » il Pittore del Re insegnava,
ripetendo, del resto, un concetto vasariano — e, nel discorso contro il Blanchard, candida-
mente dichiarava: «Gl'imbianchini sarebbero pari ai pittori, se il disegno non stabilisse
una differenza: poiché quelli adoperano il colore come questi, e sanno, quasi come questi,
come si faccia a stenderlo ».

Si può adunque concludere che gli academici, ben lungi da l'intendere la composi-
zione pittorica pura, mancano, piuttosto, di qualsiasi concezione definita — chè, anche
quella classicista, è alterata da infinite tendenze estranee.

La loro critica, fatta di pseudo-erudizione e non di spirituale riflessione, è essenzial-
mente esteriore: essi non sanno farci assistere a l'occulto lavorìo di un'anima, di un in-
gegno, che si esplica possente, o meno; essi non cercano di distinguere, ne l'opera
d'arte, l'impronta di un'individualità, e porgono a le loro dottrine un aspetto eccessiva-
mente semplicista, e pur grave. A quel complesso di teorie, se così possono dirsi, non del
tutto assimilate e spesso fra loro incoerenti, si aggiungano, poi, gli effetti funesti de la

1 Bougot, op. cit., pag. 193.
 
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