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ADOLFO VENTURI
architettonico; esaltazione fantastica, equilibrio Così architettò Leon Battista Alberti, Fuma-
organico si com penetrano nel tempio, la cui mole, nista che voleva la bellezza uscire dall'euritmia:
non grande, giganteggia. Che senso di grandezza « quei medesimi numeri, scriveva, per i quali
calma, quale robur romana spira dalle ampie avviene che il concento delle voci apparisca
arcate dei fianchi, da quel Pantheon di personaggi gratissimo agli orecchi degli uomini sono quelli
illustri alto sul sagrato, all'ombra della chiesa stessi che empiono anco e gli occhi e l'animo di
protettrice, ideato dalla mente d'un umanista. piacere meraviglioso ».
di genio! Forti pilastri dorici, ignudi; tabelle Nel comporre l'edificio, l'Alberti portava come
votive puramente delincate, impresse di grandi un senso romantico nell'esaltazione degli effetti
Fig. 28 - Mantova, Sant'Andrea.
Atrio visto dalla ferali piazza.
nitidi caratteri: nel buio degli archi ciechi i sarco-
fagi, tutti uguali, squadrati, semplici: tra arco e
arco, sospese, ghirlande di alloro, solo ornamento
ammesso nel suo significato di gloria. Un senso
di armoniche rispondenze regola l'alternativa
di superne! verticali e orizzontali, l'effetto delle
ombre, potente ma più sobrio che presso i Romani,
poi che anche l'Alberti conduce sempre verso lo
stiacciato le masse murarie a forti aggetti, a
ombre ripetute, di Roma. La forma è dapper-
tutto elettissima; nei sarcofagi severi, squadrati,
nudi, come nei capitelli delle colonne, come
nelle ghirlande strette da nastri a una tabella
quadra, racchiudenti un bel disco piano. E si
ripetono, nei pennacchi delle grandi arcate,
nei mezzi frontoni, le ghirlande, simboli di trionfo
impressi al tempio, per sua propria imponenza,
in ogni sua linea, trionfale,
architettonici: il mistero dell'ombra nei templi,
i fuochi, i grandi lumi, le faci intorno all'altare.
Compiuto l'edificio voleva ornarlo, ma l'ornamento
doveva, essere «una certa luce adjutrice della
bellezza ».
Per Leon Battista Alberti tutto doveva ve-
stirsi di beltà. « Nell'alzare gli occhi al cielo »,
scriveva, « nel riguardare le meravigliose opere
di Dio, ci meravigliamo più di lui, per le cose
belle che noi veggiamo, che per l'utilità che ne
risentiamo. Ma perchè vado io dicendo simili
cose? La natura stessa non cessa mai di scherzare
per diletto di bellezza, e lasciando l'altre cose
indietro, basta osservare quel che essa fa nel
dipingere i fiori ».
Il grande contemplatore e suscitatore di bel-
lezza aveva un'idea così alta, cosi profonda, così
assoluta, del fascino del bello da credere per esso
ADOLFO VENTURI
architettonico; esaltazione fantastica, equilibrio Così architettò Leon Battista Alberti, Fuma-
organico si com penetrano nel tempio, la cui mole, nista che voleva la bellezza uscire dall'euritmia:
non grande, giganteggia. Che senso di grandezza « quei medesimi numeri, scriveva, per i quali
calma, quale robur romana spira dalle ampie avviene che il concento delle voci apparisca
arcate dei fianchi, da quel Pantheon di personaggi gratissimo agli orecchi degli uomini sono quelli
illustri alto sul sagrato, all'ombra della chiesa stessi che empiono anco e gli occhi e l'animo di
protettrice, ideato dalla mente d'un umanista. piacere meraviglioso ».
di genio! Forti pilastri dorici, ignudi; tabelle Nel comporre l'edificio, l'Alberti portava come
votive puramente delincate, impresse di grandi un senso romantico nell'esaltazione degli effetti
Fig. 28 - Mantova, Sant'Andrea.
Atrio visto dalla ferali piazza.
nitidi caratteri: nel buio degli archi ciechi i sarco-
fagi, tutti uguali, squadrati, semplici: tra arco e
arco, sospese, ghirlande di alloro, solo ornamento
ammesso nel suo significato di gloria. Un senso
di armoniche rispondenze regola l'alternativa
di superne! verticali e orizzontali, l'effetto delle
ombre, potente ma più sobrio che presso i Romani,
poi che anche l'Alberti conduce sempre verso lo
stiacciato le masse murarie a forti aggetti, a
ombre ripetute, di Roma. La forma è dapper-
tutto elettissima; nei sarcofagi severi, squadrati,
nudi, come nei capitelli delle colonne, come
nelle ghirlande strette da nastri a una tabella
quadra, racchiudenti un bel disco piano. E si
ripetono, nei pennacchi delle grandi arcate,
nei mezzi frontoni, le ghirlande, simboli di trionfo
impressi al tempio, per sua propria imponenza,
in ogni sua linea, trionfale,
architettonici: il mistero dell'ombra nei templi,
i fuochi, i grandi lumi, le faci intorno all'altare.
Compiuto l'edificio voleva ornarlo, ma l'ornamento
doveva, essere «una certa luce adjutrice della
bellezza ».
Per Leon Battista Alberti tutto doveva ve-
stirsi di beltà. « Nell'alzare gli occhi al cielo »,
scriveva, « nel riguardare le meravigliose opere
di Dio, ci meravigliamo più di lui, per le cose
belle che noi veggiamo, che per l'utilità che ne
risentiamo. Ma perchè vado io dicendo simili
cose? La natura stessa non cessa mai di scherzare
per diletto di bellezza, e lasciando l'altre cose
indietro, basta osservare quel che essa fa nel
dipingere i fiori ».
Il grande contemplatore e suscitatore di bel-
lezza aveva un'idea così alta, cosi profonda, così
assoluta, del fascino del bello da credere per esso