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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 22.1919

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Fasc. 1-2
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Vesco, Giacomo: Leon Battista Alberti e la critica d'arte in sul principio del Rinascimento, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17339#0081

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LEON BATTISTA ALBERTI E LA CRITICA D'ARTE

59

« per quam pliiale valde renitebant ». Sui monu-
menti stessi dell'arte di Roma egli non vedeva nè
cercava che ciò che era arte medioevalc: non altro
che lo splendore. E quando s'è impadronito della
tecnica egli è felice e la rivela agli altri con gioia.
Vi si possono poi disegnare « volucres, homines
pariterque leones », come porta il sentimento, con
quel disordine fantastico proprio del Medio Evo;
ma ciò che lo assetava era il lampo dell'oro rive-
stito dal vetro. Se parla di sculture romane, sono
pietre preziose: « egregias lapides ». Era quindi
piuttosto una vaga nostalgia per il passato che tra-
sportava Eraclio verso l'antichità, non l'aver sen-
tito anche solo da lontano la grande arte di Roma.
Egli, come ogni medioevale, ama lo splendore,
ama i bagliori delle pietre preziose, ama il colore
per sè stesso. Dopo aver detto come si ricava dal-
l'edera un colore sanguigno, soggiunge:

Hunc sibi pictor amat et - scriptor diligiteque.1

Secondo il suo sentimento l'arte non fa che rac-
cogliere la vaghezza floreale:

Flores in varios qui vult mutare colores.2

E tanto egli pone l'arte nel segreto medioevalc
che sempre ritorna come martellato « quae si per-
pendis utendo vera probabis ». Noi sappiamo così
anche come egli fosse veramente un artista che
insegnava ciò che era l'amorosa occupazione dei
suoi giorni.

Per la natura egli ha un affetto che scoppia
come entusiasmo tra i ricordi classici ed i precetti
tecnici e appare segno di nuovi tempi.

Vere uòvo reduci cumgandent omiuia succo,
Arboribus refert humor quas bruma negabat
Crescendi vires...3

Il gorgoglio eternamente giovine della prima-
vera fa vibrare il suo animo ed egli si rivela non
più pittore, ma poeta: la gioia che egli coglie è
tutta interna, non è contemplazione dell'occhio,
ma movimento dello spirito.

Concludendo, Eraclio non trovò, com'egli cre-
dette, le « claves » dell'antica arte, nè alla me-
desima seppe muovere i « pia corda virorum ».
Ma per l'amore che egli portò all'arte e per il con-
cetto grande che ne ebbe, per il suo stesso impo-
tente sforzo verso l'antichità, fu figura simpatica
al Rinascimento. Mentre poi nelle Compositiones,
semplici ricette, non v'era la persona a cui si diri-
gevano gli insegnamenti, qui, si; e la si accompa-
gna nel suo lavoro attorno all'opera. Vaga era nelle
Compositiones anche la persona dell'autore: qui

1 Libro I, cap. 8.

2 Libro I, cap. i.
? Libro I, cap. 8,

invece si determina fortemente la personalità
dell'artista che vuole vendicare l'arte dimenticata
e si fa maestro a scolari che egli chiama fratelli.
Egli amava veramente l'arte.

Di fronte quindi alle Enciclopedie, di fronte
allo schema delle Compositiones, qualche valore il
De coloribus ha. Ed ha qualche valore, secondo noi,
anche sopra quel terzo libro che da alcuni è attri-
buito ad Eraclio ed è ritenuto continuazione del
Trattato. Nel qual libro vi sono certo delle osserva-
zioni fini, ma scompaiono due elementi importanti:
la personalità dell'autore e quella specie di cura per
una singola opera d'arte che l'artista poneva nel
formulare la sua ricetta. Qui, tutto, quanto più
diventa profondo e tendente al carattere scientifico
filosofico (si vuole 1' artista fornito di « practicali
et theoreticali scientia »), altrettanto diventa gene-
rale. Non v'è più quel primo passo al singolo qua-
dro concreto a cui l'artista incosciamente tendeva
pur nella forma della ricetta. Sembra nell'assieme
un libro che s'è aggiunto posteriormente, come
vuole la Merrificld, anche se vi sono dei ricordi
classici che lo legano ai due primi di Eraclio.

L'Eastlake invece lo ritiene parte del Trattato,
e vuole che Eraclio sia stato il primo a trattare
della pittura ad olio e gli fa merito d'aver conosciu-
to una tecnica più perfezionata che non Teofilo.
« Questi (Eraclio) non limita, come fa Teofilo, l'uso
della pittura ad olio a quelle superfici che si pos-
sono far asciugare al sole, anzi dice come s'abbiano
a colorire ad olio le colonne, significando proba-
bilmente quelle che stavano nell'interno delle
chiese ».* E più avanti afferma che non v'ha dif-
ferenza fra il Cennini ed Eraclio. Ora, questa tec-
nica perfezionata quanto quella del Cennini, è
piuttosto un argomento per concludere che tale
libro non è di Eraclio, ma posteriore a Teofilo.
Il quale infatti parlando della pittura ad olio la
dice un metodo troppo fastidioso.2 Cosicché fi-
nisce per consigliare anch'egli un glutine con cui
passare sopra la pittura a tempera. Si sente l'anima
medioevale, amante della pittura dai colori vivaci,
quali li rendeva l'olio, ma scoraggiata innanzi alle
difficoltà tecniche.

E con ciò rimane anche chiaro che alla scoperta
di Van Eyk si giunse per diversi gradi: madre della
pittura ad olio fu certamente quella vernice con
cui nell'antichità e nel Medio Evo si passava sopra
i dipinti a tempera. Vari perfezionamenti furono
poi suggeriti dalla composizione dei mordenti che
s' usavano per mettere d' oro. Quando fu scritto
il terzo libro, attribuito ad Eraclio, già si cuoceva
l'olio di lino con calce. Ma anche così la pittura ad

' Eastlake, Storia licita pittura ad olio. Londra i84g,p. 39.
2 Teofilo, Schedula, libro I, cap. 27.
 
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