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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 22.1919

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Fasc. 1-2
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Vesco, Giacomo: Leon Battista Alberti e la critica d'arte in sul principio del Rinascimento, [1]
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https://doi.org/10.11588/diglit.17339#0083

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LEON BATTISTA ALBERTI E LA CRITICA D'ARTE

61

quatuor evangelistae sive in specie angele-rum sevi
in figura animalium ». È una scultura ornamentale
in cui la luce dei rilievi lampeggia tra le forti om-
bre degl'incavi, che Teofilo cerca espressamente.
Un altro turibolo infatti si descrive cinto delle
« imagines virtutum... et omnia spatia circa ima-
gines superius et infcrius erunt transforata n.1 Po-
nendo la più chiaia luce accanto alla più nera om-
bra e le sue figure affondando in tale atmosfera,
egli riesce, pur nella scultura, ad un effetto pitto-
rico.

Teofilo superò la materiale divisione di pittura,
scultura ed architettura per alzarsi all'unità del
suo ideale artistico: ideale consono in sè e allo
spirito di quel tempo congiunto come alla pianta
il proprio fiore. Tra la mobilità ardente della luce
colorata c il fantastico simbolismo del soggetto:
animali, fiori, angioli, come se l'anima, agitata da
sogni e leggende, non trovasse mai riposo nè espres-
sione, tra tutto questo si sente come una se-
greta armonia.

Riguardo ai precetti tecnici va più avanti degli
altri trattatisti. Anch'egli parte dàlia materia allo
stato di natura; ma nella preparazione del colore
egli non si ferma al rosso, al verde, colori astratti:
dà invece nelle mani il colore, ad es, per ritrarre le
carni, per illuminarle od ombreggiarle, il colore per
ritrarre i capelli dei giovani, dei vecchi, ecc. Nè
solo, ma guida la mano dell'artefice pennellata per
pennellata: « Deinde commisce nigrum cum mo-
dico albo, qui color vocatur veneda et inde imple
pupillas oculorum. Addo ei etiam de albo amplius,
et imple oculos ex utraque parte et album simplex
linies inter pupillam et ipsum colorem et cum aqua
lavabis».2 Guida la mano, ma non tocca la fantasia,
di maniera che la figura che ne riesce si fa innanzi
con una realtà insignificante di fantoccio. La ri-
cetta chimica s'è cambiata nel puro precetto tec-
nico. Ma non sono pochi i passi in cui Teofilo, do-
tato di sensibilità, oltrepassa tali limiti.

« Eodem modo facies compos ex albo clarissimo
cui''S campi imagines vestics cum saphiro viridi
purpura et rubicundo. In campis vero saphiri et
rubicundi et viridis coloris, eodem modo depictis...
facies vestimcnta ex albo clarissimo, quo vesti-
menti genere nullum speciosius est ». Mettendoci
innanzi questa bianca luce che abbraccia gioiosa
sì vivi colori, come preso da entusiasmo esclama:
« nullum speciosius est »! 3 E dopo aver immaginato
una scena su vetri istoriati e descritto ciascuna
figura, abbracciando d'uno sguardo solo l'opera che
ha innanzi gli occhi, conclude con forza: « sitque

1 Libro III, cap. 60.

2 Libro I, cap. 6.

' Libro II, cap. ai.

species picturae composita colorum varietate »!
Questo il suo intento!

Teofilo fu degno di scrivere di quell'arte che era
stata il fascino di tanti secoli. E di essa egli ebbe
un concetto grande se ispiratore ne fece lo stesso
spirito di Dio. « Piena fide crede, spiritum Dei cor
tuum implesse cum eius ornasti domimi tanto de-
core, tantaque operum varietate... ».

In un passo descrive il tempio che è sogno
della sua fantasia ed aspirazione della sua fede.
« ...carissime fili, domum Dei, fiducialiter ag-
gressus, tanto lepore decorasti, et laquearia seu
parietes diverso opere, diversisque coloribus di-
distinguens paradysi Dei speciem floribus variis
vernantem, graminc foliisquc virentem, et sancto-
ruih animas diversi meriti coronis foventem, quo-
dammodo aspicientibus ostcndisti quodque crea-
torem Deum in creatura laudant, et mirabilem
in operibus suis praedicant effecisti ».J È qui
raggiunto il punto più alto della visione d'arte
bizantina. Teofilo vede nella festa di colori, che il
sole accende e move d'attimo in attimo, il sogno
d'arte del suo tempo. L'occhio più non regge allo
squillo dei raggi colorati, nè sa dove saziare la sua
sete: « Nec enim perpendere valct humanus ocùlus
cui operi primum aciem infigat ». È un coro im-
menso, è un inno altissimo! Una fiumana di luce
« luminis ex fenestris abundantiam » tutto inonda
e travolge nella sua piena: l'individuo più non esi-
ste!

Nel suo punto più alto quell'arte era presso al
tramonto. Gli uomini d'Italia lasciano i sogni pieni
di luce oltremondana c si dilettano della pura
luce del sole e riposano nelle quiete ombre della
notte.

L'iride, che ha sorriso alle anime durante tanti
sconvolgimenti, si risolve: gli uomini guardano lieti
alla vita.

* * *

Il profondo sentimento umano del Vangelo
era evaporato nelle nebbie del misticismo, s'era
avvelenato nelle varie dottrine eretiche, era ina-
ridito nelle sottigliezze teologiche. E il Sacro Ro-
mano Impero era stato come un vasto deserto:
troppo diversi ed avversi gli elementi che si vole-
vano unificare: le energie, anziché raccogliersi, si
disperdevano. Ogni vita collettiva era pertanto
impossibile se il vecchio organismo non fosse ca-
duto a Legnano. Solo allora poterono sorgere le
nuove unità politiche, in cui, quanto i confini
erano più ristretti, altrettanto più serrate le forze
e più ardente la lotta per il comune ideale. La vita
suscitata ebbe nell'arte il suo puro ed eterno fiore.

1 Libro III, Prologo.
 
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