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GIACOMO VE SCO
nella loro minaccia i palagi cittadini; stanno ampie
e luminose le chiese e sopra tutte la cupola del
Brunellesclii, « structura sì grande, erta sopra i
cieli, ampia da coprire chon sua ombra tucti e
popoli toscani ». Com'egli è sensibile all'effetto
artistico della cupola, che non vuole, come le gu-
glie gotiche, braccia tese nell'alto imploranti, che
non strappa alle gioie della vita, ma sulla terra pro-
tegge e conforta all'opera e al pensiero, ma sulla
terra stringe i popoli nella grande solidarietà
umana! È Firenze ornatissima patria delle opere di
Filippo, di Donato scultore, di Nencio et Luca et
Masaccio che accoglie l'Alberti invecchiato in un
lungo esilio che non è l'esilio dalla patria, ma dal-
l'arte, « degli occhi suoi il bel segno».1
Così l'Alberti quel giorno vide e giudicò il Rina-
scimento Fiorentino, la cui causa era nella « indu-
stria e diligentia non meno che in beneficio della
natura e dei tempi »2. Dalle nuove forze quindi del-
l'individuo e dall'ispirazione dei nuovi tempi sor-
geva la nuova civiltà artistica. Che era nuova e non
frutto di sterile imitazione dell'antico. « Confess.ti
se a quelli antiqui quali avendo quale aveano
chopia da chi imparare et immitarli meno era dif-
ficile salire in cognitione di quelle supreme arti,
quali oggi sono fatichosissime, ma quinci tanto
più el nostro nome più debba essere maggiore, se
noi sanza preceptori, sanza exemplo alcuno, trno-
viamo arti et scientie non udite et mai vedute ».
E della cupola del Brunelleschi: « artificio certo,
se io ben giudicho, come a questi tempi era incre-
dibile potersi, così forse appresso gli antichi fu
non saputo nè conosciuto ». È l'anima nuova che
scopre e crea attorno a sè il proprio mondo arti-
stico e si maraviglia che sorga come per incanto.
L'arte apparsa non era stata dissepolta, ma era
nata. Se l'Alberti ne ebbe così viva coscienza come
potremmo noi pensare diversamente?
Quel giorno Firenze, accogliendo il nato in esilio,
accoglieva chi doveva comprendere come nessun
altro la sua grande arte.
Il decreto del comune che riammetteva gli Al-
berti a Firenze è dell'ottobre del 1428. E appena
gli fu possibile non tardò certamente l'Alberti a
vedere la città che nascondeva a' suoi occhi tanto
tesoro. Noi possiamo credere che prima della fine
di quell'anno egli fosse a Firenze. Le parole sopra
riportate appartengono alla lettera di dedica del
Trattato della Pittura a Filippo di ser Brunelle-
sco. La lettera come il trattato sono del 1435:
erano trascorsi molti anni dalla sua prima visita
1 Dante, Canzoniere, « Tre donne, etc. ».
2 I passi citati senza richiamo sono tolti dal Trattato
delle Pitture di L. B. Alberti, ed. Carabba, Lanciano,
1913.
a Firenze e molto tempo doveva aver ivi dimorato,
se gli è amicissimo Donato sculptore e tutti i primi
artisti Fiorentini Senonchè i sentimenti, le im-
pressioni, le emozioni non sono forse quelli che
provò il giorno in cui per la prima volta vide e
contemplò, tutta maravigliosa, la città dell'arte,
che era la città de' suoi padri? quando la cupola,
superba nei cieli, gli parve accogliere nell'ombra
sua materna il figlio esule? Rivive quel giorno!
Masaccio è scomparso già da molti anni: pure egli
10 ricorda come fosse vivo, com'era in quel giorno
d'assunzione della sua vita.
* * *
Il Croce, dimostrando come sia impossìbile co-
stituire una teoria scientifica per ogni singola arte,
osserva come i trattati attorno le arti figurative
si riducano a cataloghi di desiderati. Tutte le scienze
vi entrano: la matematica, l'ottica, la meccanica.
« Quando poi — egli dice — ad elaborare simili
teoriche e manuali tecnici si sono messi uomini
forniti di forte senso scientifico e di naturale ten-
denza filosofica, lasciarono il campo della singola
arte e caddero nell'estetica ».* Non fu di questi
Leon Battista Alberti. Persuaso anch'egli, come
Michelangiolo, che agli artisti le questioni estetiche
non avrebbero portato alcun frutto, ma solo fatto
perdere tempo, prese altra via. Ci dice il Vasari
che la cappella Brancacci ebbe infiniti visitatori
e fu scuola a tutti gli artisti del suo tempo. Lo
stesso merito all'Alberti. Anch'egli pone innanzi
al pittore la visione della sua fantasia e viene
spiegando gli elementi in cui si concreta, elementi
che sono anzi la stessa visione. E un'opera di pit-
tura, un'istoria che si veste di parole anziché di
colori, ma parole capaci di suggerire forme, movi-
menti, colori. Quindi niente tecnica e in ciò si di-
stacca per il primo e nettamente dai trattatisti
medioevali: ma anche niente filosofia.
Dopo d'aver visto come sentirono l'arte gli uo-
mini del medioevo; dopo d'aver assistito nel 300
al volgersi degli animi verso la bellezza plastica,
cercheremo d'apprezzare il trattato dell'Alberti ed
avremo così assolto il nostro compito. Lo studie-
remo sotto l'aspetto che dicemmo: poiché solo da
questo lato è ancora vivo ed interessante per noi.
Del resto con tale intento sorse, e solo così fu utile
al movimento artistico di quel tempo. V'è in esso
quasi il programma del Rinascimento Fiorentino:
11 programma, perchè il trattato dell'Alberti,
uscendo nel 1435, quando già Masaccio era morto,
« ma poco stimato »,2 si volse pieno di fede all'av-
venire.
1 Croce, Estetica, Bali, 1909, p. 134.
2 Vasari, Vita di Masaccio, Milano 1808, voi. IV, p. 189.
GIACOMO VE SCO
nella loro minaccia i palagi cittadini; stanno ampie
e luminose le chiese e sopra tutte la cupola del
Brunellesclii, « structura sì grande, erta sopra i
cieli, ampia da coprire chon sua ombra tucti e
popoli toscani ». Com'egli è sensibile all'effetto
artistico della cupola, che non vuole, come le gu-
glie gotiche, braccia tese nell'alto imploranti, che
non strappa alle gioie della vita, ma sulla terra pro-
tegge e conforta all'opera e al pensiero, ma sulla
terra stringe i popoli nella grande solidarietà
umana! È Firenze ornatissima patria delle opere di
Filippo, di Donato scultore, di Nencio et Luca et
Masaccio che accoglie l'Alberti invecchiato in un
lungo esilio che non è l'esilio dalla patria, ma dal-
l'arte, « degli occhi suoi il bel segno».1
Così l'Alberti quel giorno vide e giudicò il Rina-
scimento Fiorentino, la cui causa era nella « indu-
stria e diligentia non meno che in beneficio della
natura e dei tempi »2. Dalle nuove forze quindi del-
l'individuo e dall'ispirazione dei nuovi tempi sor-
geva la nuova civiltà artistica. Che era nuova e non
frutto di sterile imitazione dell'antico. « Confess.ti
se a quelli antiqui quali avendo quale aveano
chopia da chi imparare et immitarli meno era dif-
ficile salire in cognitione di quelle supreme arti,
quali oggi sono fatichosissime, ma quinci tanto
più el nostro nome più debba essere maggiore, se
noi sanza preceptori, sanza exemplo alcuno, trno-
viamo arti et scientie non udite et mai vedute ».
E della cupola del Brunelleschi: « artificio certo,
se io ben giudicho, come a questi tempi era incre-
dibile potersi, così forse appresso gli antichi fu
non saputo nè conosciuto ». È l'anima nuova che
scopre e crea attorno a sè il proprio mondo arti-
stico e si maraviglia che sorga come per incanto.
L'arte apparsa non era stata dissepolta, ma era
nata. Se l'Alberti ne ebbe così viva coscienza come
potremmo noi pensare diversamente?
Quel giorno Firenze, accogliendo il nato in esilio,
accoglieva chi doveva comprendere come nessun
altro la sua grande arte.
Il decreto del comune che riammetteva gli Al-
berti a Firenze è dell'ottobre del 1428. E appena
gli fu possibile non tardò certamente l'Alberti a
vedere la città che nascondeva a' suoi occhi tanto
tesoro. Noi possiamo credere che prima della fine
di quell'anno egli fosse a Firenze. Le parole sopra
riportate appartengono alla lettera di dedica del
Trattato della Pittura a Filippo di ser Brunelle-
sco. La lettera come il trattato sono del 1435:
erano trascorsi molti anni dalla sua prima visita
1 Dante, Canzoniere, « Tre donne, etc. ».
2 I passi citati senza richiamo sono tolti dal Trattato
delle Pitture di L. B. Alberti, ed. Carabba, Lanciano,
1913.
a Firenze e molto tempo doveva aver ivi dimorato,
se gli è amicissimo Donato sculptore e tutti i primi
artisti Fiorentini Senonchè i sentimenti, le im-
pressioni, le emozioni non sono forse quelli che
provò il giorno in cui per la prima volta vide e
contemplò, tutta maravigliosa, la città dell'arte,
che era la città de' suoi padri? quando la cupola,
superba nei cieli, gli parve accogliere nell'ombra
sua materna il figlio esule? Rivive quel giorno!
Masaccio è scomparso già da molti anni: pure egli
10 ricorda come fosse vivo, com'era in quel giorno
d'assunzione della sua vita.
* * *
Il Croce, dimostrando come sia impossìbile co-
stituire una teoria scientifica per ogni singola arte,
osserva come i trattati attorno le arti figurative
si riducano a cataloghi di desiderati. Tutte le scienze
vi entrano: la matematica, l'ottica, la meccanica.
« Quando poi — egli dice — ad elaborare simili
teoriche e manuali tecnici si sono messi uomini
forniti di forte senso scientifico e di naturale ten-
denza filosofica, lasciarono il campo della singola
arte e caddero nell'estetica ».* Non fu di questi
Leon Battista Alberti. Persuaso anch'egli, come
Michelangiolo, che agli artisti le questioni estetiche
non avrebbero portato alcun frutto, ma solo fatto
perdere tempo, prese altra via. Ci dice il Vasari
che la cappella Brancacci ebbe infiniti visitatori
e fu scuola a tutti gli artisti del suo tempo. Lo
stesso merito all'Alberti. Anch'egli pone innanzi
al pittore la visione della sua fantasia e viene
spiegando gli elementi in cui si concreta, elementi
che sono anzi la stessa visione. E un'opera di pit-
tura, un'istoria che si veste di parole anziché di
colori, ma parole capaci di suggerire forme, movi-
menti, colori. Quindi niente tecnica e in ciò si di-
stacca per il primo e nettamente dai trattatisti
medioevali: ma anche niente filosofia.
Dopo d'aver visto come sentirono l'arte gli uo-
mini del medioevo; dopo d'aver assistito nel 300
al volgersi degli animi verso la bellezza plastica,
cercheremo d'apprezzare il trattato dell'Alberti ed
avremo così assolto il nostro compito. Lo studie-
remo sotto l'aspetto che dicemmo: poiché solo da
questo lato è ancora vivo ed interessante per noi.
Del resto con tale intento sorse, e solo così fu utile
al movimento artistico di quel tempo. V'è in esso
quasi il programma del Rinascimento Fiorentino:
11 programma, perchè il trattato dell'Alberti,
uscendo nel 1435, quando già Masaccio era morto,
« ma poco stimato »,2 si volse pieno di fede all'av-
venire.
1 Croce, Estetica, Bali, 1909, p. 134.
2 Vasari, Vita di Masaccio, Milano 1808, voi. IV, p. 189.