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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 22.1919

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Fasc. 4
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Fiocco, Giuseppe: L' altare Faella in S. Anastasia a Verona
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https://doi.org/10.11588/diglit.17339#0244

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222 GIUSEPPE FIOCCO

colonne su altissimo piedistallo e da due pilastri disposti ai lati come scenari, incorniciato
da una robusta trabeazione e da un timpano triangolare, se il miscredo altare di sotto
vi sembra sperduto o arbitrariamente posto. Maestro Francesco vuol mostrarvisi, pur
con accenti lombardeschi, chiarissimi in quel desiderio della policromia che gli fa mettere
lungo le cornici e lungo i pilastri dei tasselli di marmi rosei e neri, un seguace dei moduli
classici, un cinquecentesco sdegnoso di minuzie. Ma quello che gli riuscì di fare nella
ricca e un po' fredda architettura non ebbe la sua naturale conseguenza nel complemento
delle tre sculture, poste secondo il contratto a coronamento dell'altare. Se non ci fosse
il documento ad attestarcelo noi le crederemmo di un'altra mano, e di fattura più antica,
della fine del quattrocento; adattate al nuovo ufficio. Rappresentano S. Francesco e
S. Girolamo ai due lati e S. Erasmo, nel cui nome si era costrutto l'altare,' nel mezzo,
al sommo del timpano.

Dato il loro compito chiaramente secondario ci guarderemmo dal giudicarle troppo
severamente, anche se non ce lo vietasse la ragionevolezza delle proporzioni e una certa
gustosità di tecnica fra padovana e lombardesca, che con la nuova scorta sarà facile
riscontrare in altre opere mal note della scoltura veronese. Basti intanto aver dato
questa chiave agli studiosi di buona volontà.

Ritornando all'altare ci parrà strano leggere sulle cornici dei pilastri che chiudono
l'arco destinato all'ancona, metà a destra e metà a sinistra, la scritta: « Bonsignorius, Aere
Suo MDXX ». Epigrafe che sembra in contraddizione con l'altra, che attribuisce l'altare
a tutti i Faella, in perfetta consonanza con l'istromento innanzi illustrato.

Credo però si tratti di una difficoltà facilmente sanabile, osservando che questa se-
conda leggenda, con la data del 1520, non può convenire all'architettura, appena ini-
ziata in quell'anno da maestro Francesco da Porlezza, ma calza appieno se intesa per
la sola pala del Giolfino, di cui non si parla nell'atto; opera che dovette essere messa in
posto a spese del solo Bonsignorio. Ed è questo tanto vero che il Faella, nel suo testamento
del 1522 parla dell'altare di famiglia, come non ancora compiuto e gli assegna un legato.1

Un'altra opera di S. Anastasia, cioè l'altare di S. Martino, fatto costruire da Florio
Pindemonte, potrebbe essere buona testimonianza della progressiva simpatia di maestro
Francesco per le forme classiche, poiché si tratta di un'architettura quasi calcata sul
modello chili'arco dei Cavi; ma i documenti pubblicati in argomento, mentre ci assicurano
che l'incarico di questa molto ardua costruzione fu veramente affidato al figlio di maestro
Pietro, non ci accertano punto che in effetto fosse eseguito da lui. Vi sono continue
lagnanze da parte dell'edificatore contro l'architetto, il quale non riusciva a condur in
porto il suo lavoro, e dalle ultime, risultanti da documenti ancora inediti, parrebbe che
Florio Pindemonte dopo aver speso più di cinquecento ducati e aver invano convenuto
con maestro Francesco, che compisse l'opera entro l'ottobre del 1535 « et non idtra s>,
si decidesse alfine nel 1536 di farla completare da altri artisti: « idem fecit laborari et
perfici per alios ».J

L'iscrizione dell'altare porta poi la data del 1542, la quale se non esce dai limiti
della vita di maestro Francesco che viveva ancora nel 1550, sembra sempre più confer-
mare che i costruttori dovettero rompere ogni impegno con il troppo tardigrado lapicida.

Cosicché la conoscenza stilistica di questo terzo marmorario proveniente dal Castello
di Porlezza si deve restringere per ora alla testimonianza che fa della sua arte, e più
della sua buona volontà, l'altare dei Faella in S. Anastasia.

Giuseppe Fiocco.

1 Antichi Archivi Veronesi: Pergamene Bevi-
lacqua n. 592. È in data del i° settembre 1522.

2 Ibid. Atti dei Rettori Veneti a Verona, n. 45
(die 22 septembris 1535), e n. 46 (die leune X Ia-

miarii 1536).

Mi conviene qui ringraziare vivamente il cav. G.
da Pre che mi fu largo di notizie e m'indicò molti
dei documenti qui ricordati.
 
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