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L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 24.1921

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Fasc. 3
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Salmi, Mario: Note sulla Galleria di Perugia
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NOTE SULLA GALLERIA 1)1 PERUGIA

167

venuto a Prato. Un giovane aveva incendiata la
capanna del tutore che voleva spogliarlo delle
sue sostanze. Scoperto, era stato legato ad un
cavallo e trascinato, le spalle a terra, per una via
sassosa; ma invocò S. Giacomo che lo fece uscir
salvo dal supplizio. Fu allora affisso ad un palo
sotto il quale si appiccò il fuoco; ma il Santo,
ancora implorato, sopraggiunse a liberarlo mentre
il popolo gridava al prodigio e impediva ai giudici
di continuare i tormenti. La nostra composizione
aduna gli episodi più notevoli della leggenda: in
primo piano il giovane è trascinato da un asino
secondo gli ordini di un armigero a cavallo; nel
fondo si vede la capanna in fiamme da un lato, e
dall'altro il giovane in mezzo ad un catasta di legne
ardenti, soccorso da S. Giacomo, mentre li sg' erri
si allontanano in fretta.

Sopra gli stemmi e le quattro storie di S. Gia-
como, si veggono dicevamo quattro file di santi.
Nella prima S. Lucia (a causa dei restauri la
coppa che tiene nella destra, si è trasformata in
una lampada), S. Dorotea, S. Caterina di Ales-
sandria, la Maddalena, S. Caterina da Siena e
S. Agnese. Tra il primo e il secondo ordine si al-
lineano, entro compassi quadrilobi di rosso incar-
nato, con fondo alternativamente azzurro e rosso,
dodici santi e mezzo busto, non tutti identifica-
bili. Nel secondo ordine sono il beato Nicola da
Giovinazzo fondatore della chiesa della quale
porta il modello. S. Agostino, S. Ambrogio, S. Gre-
gorio, S. Girolamo e il Beato Benedetto XI, pon
tefice domenicano morto a Perugia e seppellito
in S. Domenico. La terza fila contiene la imma-
gine di S. Stefano, S. Pietro Martire, S. Costan:o,
S. Ercolano (che reca la rossa bandiera col grifo
bianco della sua città), S. Domenico e S. Lorenzo.
La quarta fila comincia con S. Paolo al quale suc-
cedono S. Giacomo col devoto committente genu-
flesso, l'Angelo annunziante, l'Annunciata, S. GiO
vanni evangelista e S. Pietro.1 Negli archi della

1 II Siepi, op. cit., 509, nel descrivere le varie figure, non
tiene l'ordine che esse avevano in originee che hanno manie
nuto anche in seguito ai respiri. Erra poi, talora, nell'idcn-
ficarle, quando scambia il beato di Giovinazzo, con S. Tom-
maso di Aquino e il papa Gregorio con S. Antonino che fa
arcivescovo di Firenze dal 1446 al 1459 e che, a prescindere
dalla ragione cronologica non avrebbe portato, come il
nostro, la tara e le chiavi. Il Siepi suppone anche che i busti
fra La prima e la seconda fila dei santi, raffigurino i vari
fondatori degli ordini religiosi, mentre vi troviamo, oltre
questi (come S. Romualdo e S. Francesco), S. Vincenzo
Ferreri.S. Bartolomeo e altri santi, diaconi e vescovi. S. Ago-
stino tiene un libro aperto in cui leggiamo a caratteri gotici
le parole relative alla Creazione, a ricordare la disputa con-
tro i Manichei; S. Girolamo mostra pure un libro con l'i-

grande bifora sotto archetti acuti ed entro tondi
polilobati, prendono posto gli evangelisti divisi dagli
arcangeli Michele e Raffaele, e sei profeti, fra i
quali emergono Mosè e David e alcune delle ge-
rarchie angeliche, mentre le altre si dispongono
intorno al busto del Redentore, nella rosa finale.

La vetrata, una delle maggiori d'Italia, ha tale
unità decorativa e stilistica (sempre riconosci-
bile a traverso i restauri e i rifacimenti), da do
versi ritenere sorta in un sol tempo e da rivelarsi
come ideata da un solo artefice. L'iscrizione
ricorda Bartolomeo di Pietro; ma nella veste ili
S. Caterina Mariotto di Nardo lasciò come fu detto
il proprio nome, avvertendo che dipinse quella
figura. Noi crediamo appunto che al pittore fio-
rentino spettino i cartoni di tutta l'opera, buona
parte della quale egli dipinse, e che a Bartolomeo
di Pietro, abile vetriere, spetti la esecuzione. A
parte gli altri numerosi esempi che potrebbero
citarsi, si ricordino i precetti che sul principio del
Quattrocento dettava Cennino Cennini sul come
si lavorano in vetro, finestre, avvertendo che di
solito i vetrieri hanno più pratica che disegno e
ricorrono all'opera dei pittori." Inoltre, osser-
vando la composizione del finestrone, notiamo che
essa corrisponde alle norme dell'arte fiorentina.
Nella seconda metà del Trecento e nei primi del
Quattrocento, i fiorentini anziché riunire con
armonia decorativa, come vediamo ad esempio
nelle vetrate della Basilica di Assisi, le figure di
santi con cui istoriavano i loro vetri, valendosi
di motivi geometrici od ornamentali, amano di-
sporre le immagini dei beati su di un fondo uni-
formemente azzurro, entro edicole tabernaco-
lari slegate e sovrapposte. Basti ricordare i fine-
stroni delle navi laterali di S. Croce e di S. Maria
dei Fiore, condotti questi, dal 1394 al 1396 su di-
segno di Agnolo Gaddi 2 e quelli nelle cappelle
delle tribune del Duomo disegnati da Lorenzo
Ghiberti (1439-1442). Anche il modo di decorare
le vesti delle figure a colori uniti, con rose, qua-

nizio della Genesi: « In principio creavit deus celum et
terram; terra autem erat inanis et vacua et tenebre... ».

1 // libro dell'arte, ed. Milanesi, Firenze, 1859, 122, capi-
tolo CI.XXI. Nel 1415 il pittore senese Benedetto di Binde
dipinse il finestrone della sacrestia di S. Domenico e Barto-
lomeo di Pietro venne pagato « prò labore suo et expensis
factis » (Bombe, op. cit., docc. 56 e 67). F.gli dunque aiutava
il pittore limitandosi forse a cuocere i vetri; e la notizia
viene a confermare la nastra ronclus-ion0.

1 Mariotto di Nardo non fu estraneo a quell'opera poiché
di un finestrone a mezzogiorno e di un altro di tramontana,
egli dipingeva gli sguanci. Cfr. anche per le vetrate, G.
Foggi, // Duomo di Firenze, Berlino, 1909, I.XXIXT.XXX,
doc. 468-69; 476 e 483.
 
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