Universitätsbibliothek HeidelbergUniversitätsbibliothek Heidelberg
Metadaten

L' arte: rivista di storia dell'arte medievale e moderna — 9.1906

DOI issue:
Fasc. 3
DOI article:
Ciaccio, Lisetta: Scoltura romana del Rinascimento, [1]: primo period (sino al pontificato di Pio II)
DOI Page / Citation link: 
https://doi.org/10.11588/diglit.24151#0223

DWork-Logo
Overview
loading ...
Facsimile
0.5
1 cm
facsimile
Scroll
OCR fulltext
SCOLTURA ROMANA DEL RLNASCLMENTO

183

di Jacopo da Pietrasanta, l’architetto del pulpito della benedizione di Pio II, 1 della chiesa
di Sant’Agostino e probabilmente di altri edilizi romani, ci assicura non trattarsi di semplici
scalpellini nel senso moderno della parola, bensì di veri scultori, ai quali potè essere affidata
da Isaia e Paolo, allora occupati anche in altri lavori,2 la maggior parte dell’esecuzione
del tabernacolo.

Mi sembra quindi ragionevole di dovere ricercare fra costoro il nome di chi scolpì la
lunetta vaticana n. 224, e cioè dell’autore di tutte le opere fin qui studiate.

Ora fra i quattro scarpelini ricordati Jacopo da Pietrasanta pare da escludersi oltre che
perchè egli ci è più noto come architetto che come scultore, perchè il suo stile architetto-
nico-decorativo è tutto diverso da quello dell’autore del tabernacolo di Viterbo. Egualmente
non mi sembra probabile l’identificazione del nostro marmoraro in Matteo da Settignano;
evidentemente non abbiamo a che fare con un fiorentino, bensì con un artefice educato alla
scuola romana quale era verso la metà del secolo XV e che più innanzi impareremo meglio
a conoscere: incerta, senza soda coltura artistica, ispirantesi quasi soltanto a modelli antichi,
con una spiccata tendenza a fare il panneggio trito, a fitte pieghe parallele aderenti al corpo.

Resterebbero quindi soltanto da prendersi in considerazione i nomi di Giovanni Ago-
stino da Roma e di Pellegrino da Viterbo. Del primo, ch’io sappia, nulla ci è noto: del
secondo ci consta che nel 1456 faceva bombarde pel papa: 3 lavoro di poco impegno cer-
tamente, ma punto umile come a noi potrebbe sembrare, giacché anche Isaia da Pisa e
Paolo di Mariano nel 1460 vi attendevano.4 Di più di Pellegrino sappiamo che era mar-
moraro già nel 1451, che anche allora abitava in Roma e che inoltre era amatore e ricer-
catore di statue antiche, delle quali faceva forse anche un certo commercio, giacché ne
inviava fuori di Roma, ad esempio, a Giovanni de Medici, al quale dava pure notizia dei
suoi trovamenti. 3 Ora tutti questi dati si adattano perfettamente al nostro incognito, il quale,
come ci rivelano le opere sue, esercitava l’arte sua in Roma sino almeno dalla metà circa
del secolo XV, e perciò anche verso il 1451, e che si mostra non soltanto amante dell’antico,
ma anche conoscitore esperto dei diversi esemplari più belli della statuaria classica, onde
tornerebbe proprio a proposito supporre ch’egli si occupasse di scavi e di commercio di
statue antiche. Di più noi sappiamo che lo stesso nostro incognito lavorò in Viterbo, patria
di Pellegrino; e ciò aggiunge una probabilità ancora a che egli possa essere identificato in
Pellegrino d’Antonio da Viterbo.

Ma tutto questo è ancora troppo poco perchè si possa accogliere tale supposizione ; e
in attesa di un dato di fatto che ci permetta di mutare in certezza la nostra ipotesi, ovvero
c’induca ad abbandonarla, io proporrei di chiamare il nostro il « Maestro delle Virtù», dal
soggetto da lui così largamente trattato nel periodo più caratteristico dell’arte sua.

* * *

Abbiamo veduto come il nostro maestro delle Virtù, lavorando nel monumento del
cardinale di Portogallo, avesse un aiuto, il quale, benché di mezzi assai modesti, si mostra

di residui della mercede a loro dovuta e mancandoci
la, registrazione, dei pagamenti anteriori.

1 Muntz, op. cit., I, pag. 282: « Superstiti fabricae
pulpiti benedictionis ».

2 Ad esempio, nel pulpito della benedizione di
Pio II. (Muntz, op. cit., voi. I, pag. 279-283).

5 Muntz, op. cit., voi. I, pag. 195.

4 Loc. cit., pag. 247.

s G. Gaye, Carteggio inedito d'artisti dei secoliXIV,
XV e XVI, Firenze, 1839, I, pag. 164. Dopo aver
riprodotta una lettera del 31 ottobre 1451 scritta in Roma
da Carlo De Medici a Giovanni De Medici, con la quale

dà conto al parente delle pratiche sue per procurargli
delle antichità, il Gaye in una nota, ove riporta brani
di altre lettere analoghe dello stesso anno di Carlo a
Giovanni, aggiunge che «una figura di marmo offre
al medesimo Giovanni un maestro Pellegrino d’An-
tonio marmoraro di Viterbo», della cui lettera rife-
risce queste frasi: « O’ trovate in questi dì dui bone
teste integre assai bone e belle et omgnie dì me capi-
tano per le mà delle cose».

La notizia è pure ripetuta dal Muntz, Lespre'cur-
seurs de la Renaissance, Pariset London, 1882, pag. 162,
ma male interpretata.
 
Annotationen